Panathinaikos in vendita: perché in Grecia conviene

Il Paese offre una piattaforma dove compri, valorizzi e rivendi. E dove l’Europa funziona da moltiplicatore
Panathinaikos in vendita: perché in Grecia conviene© EPA

Da qualche giorno il Panathinaikos è tornato nel radar dei soldi “seri” con un rumor classico: una ricca famiglia di armatori pronta a entrare per rilanciare. Il nome che rimbalza è quello di Maria Angelicoussis, ma la Pae ha provato a chiudere subito la porta con una nota: nessun «approccio, contatto o interesse, diretto o indiretto» per l’acquisizione del pacchetto azionario. Il punto non è la cronaca della smentita. Il punto è perché questo tipo di storia oggi suona plausibile. Il calcio europeo sta diventando più verticale: i campionati nazionali, per molti club, valgono soprattutto come piattaforme di accesso alle coppe, e la Champions è il prodotto che concentra attenzioni e ricavi. La nuova formula ha reso l’ingresso più “industriale”: 36 squadre in una “league phase” unica, otto partite garantite contro otto avversarie diverse; le prime otto entrano direttamente agli ottavi di finale, dal 9° al 24° passano da uno spareggio per completare il tabellone, dal 25° al 36° si va a casa.

In Grecia conviene investire

Dentro questa cornice si incastra il ragionamento di Federico Mari – football club advisor e fondatore di Contemporary Football –, il quale su LinkedIn ha scritto un post dal titolo: «Why Greek football is one of the last structurally mispriced markets in Europe». Mari sostiene che investire oggi in un club greco non sia una scelta emotiva ma «strutturale e numerica»: accesso Uefa come opzione ricorrente grazie al coefficiente, un inventario tecnico da fascia media, un campionato già internazionalizzato, e un valore che «cola via» perché i salari assorbono quasi tutto e perché manca struttura. Nel suo post cita anche segnali di maturazione: trasferimenti importanti che già esistono e un lavoro di base che sarebbe cambiato, con più competenze e più coaching. In questo senso la Grecia assomiglia più a Portogallo o Belgio che a un campionato ‘domestico’: una piattaforma dove compri, valorizzi e rivendi, e dove l’Europa funziona da moltiplicatore. Con l’attenzione che si sposta verso poche competizioni globali, l’obiettivo non è vincere in patria, ma restare agganciati al piano nobile. I dati pubblici aiutano a misurare la sostanza dell’inventario. Transfermarkt stima la Super League 1 a 525,33 milioni di euro di valore complessivo: 14 squadre, 448 giocatori, 1,17 milioni di valore medio per calciatore. Gli stranieri sono 248, il 55,4%: abbastanza per definire la lega come piattaforma di circolazione, non come destinazione finale. Nel ranking Uefa la Grecia è dodicesima con 43,612 punti: non è élite, ma è una fascia in cui l’Europa resta un’opzione ripetibile e quindi monetizzabile.

Il caso perfetto

La parola chiave, allora, è “mispriced”: sottoprezzato, non perché piccolo, ma perché inefficiente. Se un sistema paga quasi tutto in costi di squadra e non costruisce ricavi stabili fuori dal campo, la qualificazione europea non è un premio, è ossigeno. E la regolazione spinge esattamente lì: l’Uefa limita salari, trasferimenti e agenti a una quota dei ricavi, con un tetto strutturale al 70% a regime da questa stagione. Per chi investe, questo cambia la leva: non “spendo di più”, ma “spendo meglio”, trasformando volatilità in processo, con disciplina salariale, infrastrutture e player trading replicabile. Il Panathinaikos è un caso perfetto perché ha un brand enorme e un tema stadio che può cambiare i fondamentali più di un mercato estivo; per questo il suo nome torna ciclicamente quando il mercato annusa valore non ancora prezzato. Che il rumor Angelicoussis sia vero o no, la domanda utile resta quella di Mari: quante leghe europee offrono ancora, nello stesso pacchetto, accesso Uefa reale e una sottovalutazione strutturale sfruttabile?

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