Manchester City, come Guardiola ha rivoluzionato il guardiolismo 

Con Haaland stessa dottrina, diversa pratica: il norvegese gli ha permesso di mantenere il la squadra più bassa e coperta. Pep disse: "Il nostro centravanti è lo spazio". Ora è l'opposto
Manchester City, come Guardiola ha rivoluzionato il guardiolismo © Getty Images

LONDRA - Da quell’8 maggio del 2008, giorno in cui Joan Laporta lo scelse come nuovo tecnico del Barcellona a nemmeno un anno dal suo esordio da allenatore sulla panchina della formazione B dei Blaugrana, Josep Guardiola i Sala, da tutti conosciuto come Pep, non ha mai smesso di rinnovare il calcio rinnovando sé stesso. In 15 anni di carriera, Pep ha vinto tutto, ma soprattutto, ha cambiato il corso stesso della storia di questo sport, diventando il fautore e l’interprete di una rivoluzione calcistico-culturale. In questi 15 anni, il “guardiolismo” è diventata la corrente di pensiero dominante, sulla quale si è formata la generazione più avanguardista di nuovi tecnici.

Guadiola, da "Il Centravanti è lo spazio" a "Lo spazio è il centravanti"

Pep e il suo modo di interpretare il calcio, fatto di lungo possesso e di ricerca continua degli spazi, sono diventati un’icona capace di dividere il mondo in fazioni, andando, forse, oltre la stessa volontà del catalano che, invece, in questi anni ha spesso dimostrato di rifiutare i dogmi, di saper cambiare idea e di essere capace di imparare da alcuni errori a cui nemmeno un genio come lui è risultato immune. Fanno già parte della letteratura calcistica quelle parole pronunciate a inizio carriera e che, forse, più di altre hanno contribuito a crearne il mito: «Non abbiamo un centravanti, il nostro centravanti è lo spazio», disse un giovanissimo Pep. Il percorso fatto in questi 15 anni, costellato di vittorie, sì, ma anche di qualche cocente sconfitt a, lo ha portato a limare questo concetto, fino ad arrivare ai giorni più recenti, quelli che precedono l’ennesima finale di Champions conquistata soprattutto grazie all’inserimento di un elemento di rottura totale, quasi antitetico al battaglione di giocolieri dal piede sopraffino e dalla giocata veloce in spazi strettissimi. L’arrivo di Erling Haaland non ha, però, smantellato il castello di convinzioni tattiche su cui è stato edificato il “guardiolismo”. Lo ha perfezionato e reso più efficace. Questo perché il numero 9 dei Citizens, in pochi mesi, ha imparato lui stesso a giocare con quello spazio fondamentale nel visone calcistica di Pep. Il suo contributo nei successi stagionali del City non può e non deve essere limitato al pur impressionate numero di reti segnate (53 per la precisione).

Haaland e un nuovo modo di attaccare: il nuovo stile di gioco di Pep

Haaland, infatti, ha aiutato il City a superare quello che negli scorsi anni era stato il suo limite più evidente: l’idea che per vincere bisognasse dominare per 90’, schiacciare gli avversari per non farli né respirare né pensare. In Champions, soprattutto, questo non è sempre possibile: negli ultimi anni, Pep lo ha imparato sulla sua pelle. Con Haaland, invece, la squadra ha imparato a respirare, sfruttando la sua capacità di giocare spalle alla porta, di attirare su di sé i difensori avversari e agevolare l’inserimento dei centrocampisti. D’altronde, solo chi quelle gare non le viste può credere che sia semplicemente un caso che a decidere lo scontro diretto contro l’Arsenal, il ritorno di Champions contro il Real e la recente finale di FA Cup siano stati i centrocampisti, De Bruyne, Silva e Gundogan. La verità è che Haaland ha fornito a Pep un’alternativa nel modo di attaccare, cambiando anche il modo di difendere del City: permettendogli di stare molto più bassa, consapevole che le capacità del norvegese di tenere palla, far salire i compagni e innescare i centrocampisti nello spazio potessero diventare le armi in più. E lo sono diventate.

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