Il ruolo del calcio nell'espansione dell'Arabia Saudita
Nonostante le dimensioni gigantesche del portafoglio con cui i sauditi stanno facendo shopping nel mondo (e in Europa in particolare), la loro espansione nell’industria, nell’economia e nella finanza è un processo non privo di complessità politiche e diplomatiche. E qui entra il calcio, che è da sempre uno strumento molto utile a creare consenso e popolarità, aprire molte porte, presentarsi con una faccia molto più rassicurante. I sauditi si sono mossi con Pif, il loro fondo sovrano, che dispone di circa 800 miliardi di dollari da investire e che ha acquisito il Newcastle in Inghilterra, per poi essere il principale finanziatore della Saudi League.
L’obiettivo è creare uno dei campionati più importanti del mondo, se non il più importante, mettendo l’Arabia Saudita al centro della mappa del calcio, che è considerata una delle più efficaci per incidere nella percezione globale di una nazione. L’Arabia vuole essere percepita come nazione moderna e di successo, spazzare via gli stereotipi del passato per fluidificare il processo di espansione di cui sopra. Insomma, non è solo “sportwashing”, ovvero ripulirsi l’immagine (non brillantissima per le note questioni legate agli scarsi diritti umani garantiti), ma qualcosa di più complesso che deve ridisegnare l’idea di Arabia Saudita a trecentosessanta gradi. La crescita della Saudi League, quindi, non è l’eccentrico desiderio di uno sceicco, ma un passaggio chiave di una strategia più ampia e rilevante per il futuro del Paese. Ecco perché non è possibile definirla «una bolla come la Cina di qualche anno fa», come ha frettolosamente fatto Aleksander Ceferin, presidente dell’Uefa.
Il progetto della Saudi League ha un piano decennale alla sua base e risorse sufficienti per metterlo in atto. Certamente non è un piano sostenibile, perché spendendo le cifre spese finora per attirare campioni e giocatori forti, i costi non potranno mai essere coperti dai ricavi. La lega che vende meglio i suoi diritti televisivi è, in questo momento storico, la Premier League che incassa circa 6 miliardi a stagione. Ammesso e non concesso che la Saudi League possa arrivare a fatturare la stessa cifra nel giro di un decennio, i costi sostenuti fino a quel momento avrebbero già aperto un buco piuttosto profondo e, se il livello retributivo del campionato è quello che abbiamo imparato a conoscere quest’estate, non basterebbero quei soldi a tenere in equilibrio la baracca. Ma questo non è il problema dei sauditi, per lo meno non nel medio periodo: i soldi spesi nel calcio sono un investimento per innescarne altri e più importanti, la sostenibilità è un concetto tutt’al più futuribile. E, peraltro, se davvero la geografia del calcio si spostasse verso il Medio Oriente e la Saudi League diventasse una specie di Nba, allora, nel lungo periodo, i conti potrebbero anche tornare. Ma adesso non è il problema dei sauditi, il cui obiettivo è diventarlo, la Nba del calcio...