Atletico Mineiro-Botafogo, che si giocherà il prossimo 30 novembre al Monumental di Buenos Aires, la casa del River Plate, è una finale inedita della Copa Libertadores. La squadra di Belo Horizonte l’ha vinta nel 2013 ai rigori contro l’Olimpia Asuncion. La squadra di Rio de Janeiro, invece è alla sua prima volta. Nel conto generale l’Argentina ne ha vinte 25, con 13 finali perse, il Brasile 23, con 18 finali perse; segue l’Uruguay con 8 e 8. La cosa che colpisce di più è che da quando c’è la finale unica, cioè dal 2019, ha sempre vinto una squadra brasiliana e due volte è stata una questione verdeoro, in ordine temporale: Flamengo, due volte Palmeiras, ancora Flamengo e Fluminense, alla sua prima vittoria. Questa è anche l’incontro scontro tra due scuole di pensiero. Da una parte l’argentino Gabriel Milito, fratello del più conosciuto Diego, dall’altra il portoghese Artur Jorge, il quale con i bianconeri sta facendo cose egregie: in finale di Libertadores, per la prima volta, e in testa al Brasileirao.
Il Milito che non ti aspetti
Gabriel Milito ha un passato da buon difensore, esercitato tra Independiente, Real Saragozza e Barcellona. Nella sua personale bacheca ci sono 13 titoli, tra cui quelli dell’anno monstre blaugrana, quel 2009 nel quale il club catalano vinse tutto, ma proprio tutto; insieme con il Sudamericano Under 20 del 1999. Nel 2013 ha iniziato la carriera di allenatore con la squadra riserve dell’Independiente, poi Estudiantes, ancora Independiente, O’Higgins, in Cile, Estudiantes, Argentinos Juniors e da quest’anno siede sulla panchina dell’Atletico Mineiro, con cui ha vinto il campionato del Minas Gerais e conquistato la finale di Coppa del Brasile, che contenderà al Flamengo. Nel cammino della Libertadores ha vinto il gruppo G, con 14 reti fatte e 6 subite, davanti al Penarol. Poi ha eliminato San Lorenzo, Fluminense e River Plate, subendo in tutto 2 gol; in totale 8 reti in 12 partite. Mentre in campionato ne ha subite 45 in 30. Eppure proprio la forza difensiva della squadra è stata il grimaldello che ha permesso all’Atletico Mineiro di raggiungere la finale della Libertadores, come nella semifinale di ritorno al Monumental, dove ha fatto le prove per il 30 novembre, pareggiata 0-0 contro la squadra di Gallardo, dimostrando anche coraggio. «Il calcio si sente in modi diversi e cerchiamo di trasmettere questo ai giocatori. Ci sono momenti migliori e peggiori; è impossibile mantenere un livello elevato per tutta una stagione così impegnativa come quella brasiliana, e raggiungere uno standard costantemente alto è molto difficile. Dobbiamo giocare secondo le necessità che percepisco e il momento della squadra. Ci sono momenti in cui la squadra è fresca per attaccare e altri in cui dobbiamo difendere. Dobbiamo fare ciò che è meglio in base al momento. Credo fortemente nelle mie idee, ma so anche che oggi era una giornata per avere una forza difensiva, per controllare, ridurre gli spazi dietro e giocare in modo più diretto», ha dichiarato Milito dopo la qualificazione.
Una finale imprevedibile
Artur Jorge, invece, si è lasciato andare su Instagram per la gioia, sfrenata, della finale raggiunta e per una stagione che per il ‘suo’ Botafogo potrebbe rivelarsi strepitosa: «Sono stato scelto... illuminato. Guidati da una stella solitaria che ci conduce alla decisione della Gloria Eterna! Che avventura straordinaria. Ai miei cari, condivido e so che tutto questo è anche vostro. Il momento che ci fa sentire fianco a fianco, quando ci tocchiamo! Come tutti i fan del Botafogo meritano tutto questo! Sono straordinari. È l’ora del Botafogo». Al di là del modulo che sceglieranno per scendere in campo entrambi giocano con una sola punta di ruolo, cercando di sorprendere l’avversario tra le linee con un centrocampo che occupa gli spazi e pressa alto, mentre Milito a volte si schiera a 3 dietro, come ha fatto contro il River: 3-4-2-1 che all’occasione diventa un 5-4-1, perché, come ha dichiarato, non voleva rischiare più di tanto contro una squadra capace di rimonte impossibili. L’unico vero pericolo per l’Atletico Mineiro sono i cartellini rossi che sembrano una costante. Potrebbe essere una finale bellissima oppure una finale bloccata come una gara di scacchi, dove nessuno dei due allenatori ci starà a perdere, anche perché per entrambi l’occasione è storica. Sarà anche la sfida tra il difensore argentino Alexander Barbosa (Botafogo), classe ’95, e il centrocampista ecuadoriano Alan Franco (Atletico Mineiro), classe ’98, le due stelle dei rispettivi club. Ma ci sarà spazio anche per Deyverson (1991), autore di una doppietta nella semifinale di andata contro il River, e Paulinho (2000) per il “Galo”, e il venezuelano Jefferson Savarino (1996), anche lui a segno con una doppietta contro il Penarol, per “O Glorioso”. Il tutto con quel pizzico di pepe che una finale tutta brasiliana saprà regalarci, giocata in casa degli avversari di sempre, sia a livello di nazionale che di club. E allora: «River, decime qué se siente tener en casa a tu papá».