Sara Gama e il calcio femminile: "Aperta una strada per le bambine"

La leggenda bianconera e della nazionale: "Alla base serve un impulso agli impianti per favorire le piccole società"
Sara Gama e il calcio femminile: "Aperta una strada per le bambine"© ANSA

Nessuna più di lei è stata donna in un mondo ancora comandato dagli uomini. Nessuna più di lei, con la stessa tenacia con la quale morde le caviglie delle attaccanti, ha portato in tutte le sedi possibili, istituzionali e non, il contributo che serviva non solo alla sua divisione, ma all’intero sistema calcio italiano. E nessuna più di lei oggi, a pochi giorni dall’addio alla Nazionale, può direi di aver lasciato un segno. Tangibile, appassionato, anche vantaggioso. Sara Gama è e resterà per sempre il volto di una disciplina che grazie (anche) al suo lavoro non solo ha ottenuto il sudato professionismo, ma ha assunto contorni nuovi nell’immaginario collettivo.

La sua scalata in Aic, di cui oggi è vice presidente, è solo la faccia istituzionale di questa sua consacrazione, che in realtà poggia su un lungo lavoro. Che apporto crede di aver portato, in quanto donna, all’associazione?
«La prima cosa che mi viene in mente è sicuramente la nostra tendenza, quando assumiamo un impegno, a diventare dei martelli pneumatici: la donna ha uno spirito di applicazione importante e mediamente superiore a quello degli uomini e questo, io come le altre donne coinvolte, lo abbiamo portato nel nostro approccio».

Un lavoro sfociato nel presente anche nel convegno con cui l’Aic, lunedì a Milano, ha messo al centro la donna, parlando di salute, alimentazione, modelli di calcio femminile europei. C’è stato un passaggio, quello sull’intelligenza emotiva, con il quale gli staff tecnici sono stati invitati a limitare la competizione a favore del dialogo e della condivisione degli obiettivi: si ritrova in questo?
«Molto. La donna vuole sapere, capire, prendere ogni concetto e spezzettarlo e ha, quindi, bisogno di un coinvolgimento maggiore, difficilmente rinuncia a una spiegazione. Questo certo richiede un po’ di tempo in più, ma poi la garanzia è di applicazione massima. Un passaggio che ritengo cruciale perché spiega quanto lavoro ci sia da fare sull’approccio: perché il calcio quello è, ciò che cambia è il modo in cui bisogna porsi a un gruppo di donne piuttosto che a uno di uomini».

C’è qualcosa in particolare in cui vede la sua impronta e quella della sua generazione in una bimba che si affaccia oggi al mondo del calcio?
«La creazione di una coscienza collettiva rispetto alla nostra categoria, è questa la cosa che mi rende più orgogliosa perché questo rappresenta uno strumento per ciascuna di quelle bambine. Poi certo all’interno di questo concetto ci sono tutti i passaggi cruciali di questa crescita, ma mi piace soffermarmi su questa coscienza che mi auguro possa rimanere e crescere nel tempo».

Qual è, invece, il prossimo passo in questo processo di crescita che non può più essere rimandato?
«La questione dell’impiantistica, a tutti i livelli. Al vertice, dove bisogna migliorare la qualità del gioco e, quindi, del prodotto per poterlo vendere meglio. E in questo senso gli impianti giocano un ruolo fondamentale. Ma anche per la base: ciò che più di tutto mi sta a cuore, infatti, è dare la possibilità a tutte le bambine di giocare vicino a casa e per fare questo è necessario che ci siano più e migliori strutture sportive disponibili».

Oggi lei ha la percezione, confrontandosi con le sue compagne più giovani, che il messaggio di un professionismo sì conquistato, ma per il quale è necessario continuare a lottare, sia arrivato? Tradotto, ritrova un po’ di spirito sindacalista in loro?
«In questi anni le calciatrici giovani sono state molto vicino a noi e quindi io credo che qualcosa abbiano assorbito, un po’ per osmosi. Certe cose le hanno capite, poi certo interiorizzarle e farle proprie è un’altra cosa. Oggi loro possono contare su una maggior sicurezza dal punto di vista delle tutele e quindi possono giocare a calcio in maniera più rilassata, ma se vogliono migliorare devono essere coscienti che prima o dopo qualche sfida arriverà, sicuramente diversa dalle nostre. Allora lì starà a loro decidere come spendersi, perché questo richiede tanto impegno. Sarà importante che tengano sempre gli occhi, ma anche il cuore, aperti».

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