Lucca, Viti, Casadei: fuga all'estero per dare una prospettiva ai club italiani

La Serie A è soffocata dai debiti, ecco come ipoteca il futuro per garantirsi un affannoso presente. Cosa c'è dietro la cessione dei tre talenti
Lucca, Viti, Casadei: fuga all'estero per dare una prospettiva ai club italiani

TORINO - Fuori un altro. Anche Cesare Casadei, 19 anni, saluta l'Italia senza aver mai “assaggiato” il sapore della Serie A: lo stesso destino di Lorenzo Lucca (passato all'Ajax dal Pisa) e di Mattia Viti (dall'Empoli al Nizza). Casadei va al Chelsea per 20 milioni e insieme alla cessione di Pinamonti (lui però ne ha già 23, di anni: un “matusa”...) al Sassuolo consente all'Inter di completare la strategia economica che permetterà di blindare il resto della rosa. Quella formata da giocatori “esperti” in grado di vincere subito. I famosi “instant-team”, come dicono quelli che sanno arrotare l'inglese che, in questi casi, sta al “latinorum” caro Don Abbondio, una cortina fumogena per non chiamare le cose con il loro nome: impossibilità, di scegliere la programmazione e lo sviluppo.

Ti saluto, Italia

Perché non è mica un problema in sé il fatto che i giovani di prospettiva vengano cercati da grandi club all'estero, anzi: là rischiano persino di giocare e qui no. Infatti, da noi vengono sostituiti da ultratrentenni che, appunto, sono in grado di costruire “l'instant-team”, la squadra che ti fa vincere (o ti permette di arrivarci vicino) subito. Un “piccolo” esempio: nelle prime giornate di Premier il City (la squadra universalmente candidata al successo) è scesa in campo con un'età media di 26,4 anni (la più giovane l'Arsenal con 23,9, la più anziana il West Ham con 27,3). Bene. In Italia la Roma, che è stata (nemmeno del tutto a torto) finora celebrata per il suo mercato, ha giocato con un'età media di 28,1 anni. E sapete quale è stata la squadra con l'età media più vecchia? Ma certo: l'Inter, il club che ha ceduto Casadei, con 28,7 anni. La più giovane, onore al merito, il Lecce con 23,8. Il fatto è che questa tendenza è, di nuovo, la spia e l'effetto insieme della crisi economica che attanaglia il calcio (come tutto il Paese): perché solo chi ha i conti in ordine può assicurarsi il privilegio di investire in prospettiva. Chi invece è con l'acqua alla gola ed è pressato dai conti non può permettersi il rischio di non vincere o, solamente, di rimanere fuori dai primi 4 posti perché schiacciato da un indebitamento la cui gestione impedisce di ragionare sulla crescita. Un po' come un Paese che spende il 17 per cento del Pil per pagare le pensioni e riserva il 4 per cento per la scuola e l'1,4 per la ricerca: cosa potrebbe andare storto?

Soldi e debiti

E se l'esigenza è questa, è “normale” che i piccoli club, quelli con meno risorse o che vogliono evitare di “capottare”, non possano partecipare a questo gioco (20 milioni per Casadei? Ma su, dai...) e si rivolgono a mercati stranieri emergenti dove i costi sono decisamente più bassi. Innescando l'altra patologia dell'aumento di stranieri: 67 per cento nella prima giornata di campionato, con picchi del 71 nelle squadre che giocano le Coppe e che, in base all'ultima modifica che prevede si possa applicare a chi guadagna da un milione in su, sfruttano maggiormente il decreto crescita. Una spirale perversa innescata sempre dalla solita, antica questione, la mancanza di soldi e il moloch dei debiti. Le valutazioni tecniche vengono sempre dopo, quando vengono...

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