C’è stato un momento storico in cui gli arabi eravamo noi
Quindi non resta che sedersi e vedere come va a finire il duello fra soldi e passione. Perché se il calcio europeo ha una speranza di evitare la totale marginalizzazione è legato al sentimento dei tifosi la cui fedeltà allo stemma e alla maglia potrebbe trasformarsi nel più impenetrabile baluardo per i soldi arabi. Mi prendi Salah? Beh, io tifo Liverpool, non Momo, quindi tiferò per quello che prenderà il suo posto, non importa se più scarso, l’importante è che abbia la maglia rossa. Se i tifosi europei reagissero così, fregandosene di perdere i talenti più tecnici e divertenti, ma restando aggrappati all’idea del club, della loro comunità, del loro stadio, allora il calcio del vecchio continente avrebbe un futuro. Ma il rischio è che se i campioni vanno tutti altrove (Premier o Saudi League), le partite più godibili si giochino altrove, succhiando comunque una parte dell’attenzione e delle risorse, perché va bene la fede, ma il calcio, pur avendo molte componenti della religione, resta anche e soprattutto un divertimento.
Certo, imparare a distinguere le squadre saudite e i loro nomi può essere complicato, così come provare a proiettare qualche sentimento su qualcosa che non ha storia, ma chissà... D’altronde vale anche la pena ricordare che c’è stato un momento storico in cui gli arabi eravamo noi e andavamo a razziare qualsiasi campione o campioncino del continente sudamericano, impoverendo campionati e club storici che, da nomi altisonanti del calcio mondiale, si sono trasformati in fabbriche di talenti da esportare. Se dovessimo finire anche noi così, possiamo consolarci vedendo la passione con cui argentini, uruguaiani e brasiliani seguono ancora il loro club, dove transitano idoli fugaci, ma l’amore non passa mai.