Fassone esclusivo: I soldi dell'Arabia un'opportunità per la Serie A

Non sarà sempre festa: in futuro i loro club avranno strutture simili a quelli europei. Il progetto non è nebuloso come quello dei cinesi ed è destinato a durare
Fassone esclusivo: I soldi dell'Arabia un'opportunità per la Serie A© www.imagephotoagency.it

Marco Fassone, il Newcastle, club del fondo sovrano saudita, fa stasera a San Siro il suo esordio in Champions. Che effetto fa?

"In Europa abbiamo già visto la parabola di Manchester City e Paris Saint-Germain, ovvero club che nei rispettivi campionati non vincevano da tantissimo tempo e, dopo essere stati acquisiti da proprietà-stato mediorientali molto ricche, si sono trasformati in 'macchine da calcio' perfette grazie a enormi possibilità di immettere denaro. A Newcastle è successa una cosa simile, lo stupore è piuttosto sul fatto che abbiano fatto così in fretta a riportare la squadra al top. Questo perché gli arabi hanno probabilmente metabolizzato qualche 'errore di gioventù' commesso da chi è arrivato prima di loro e per questo, pur immettendo molto denaro, non hanno fatto un mercato di stelle ma preso giocatori funzionali e di prospettiva".

Pif, fondo sovrano saudita, è anche proprietario di 4 club della Saudi League: Al-Hilal, Al-Ahli, Al-Ittihad e Al Nassr. C’è da aver paura di questo gigante?

"Il disegno del paese Arabia è molto più chiaro e meno nebuloso rispetto, ad esempio, a quello cinese. Obiettivo è trasformare un paese isolato politicamente e turisticamente in una nazione “friendly” verso il mondo occidentale e ha individuato nello sport uno dei vettori per riuscirci. Detto questo, mi è stato spiegato da loro che il fatto che i quattro club siano di proprietà dello Stato è un modo per creare una sinergia utile per trasportare dall’Europa un certo numero di tecnici e calciatori con l’idea di costruire un calcio locale forte che un domani possa competere con il calcio occidentale".

Quali sono le differenze con la “bolla” cinese?

"In Arabia ci sono premesse più solide: in Cina, dopo un anno o due si è capito che quel fenomeno sarebbe stato destinato a sgonfiarsi in tempi abbastanza rapidi".

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A trattative come quella per Tonali, il calcio italiano dovrà quindi abituarsi?

"Nei primi anni, sicuramente sì. In questo momento non hanno nessuna pressione come club dal punto di vista economico avendo un budget pressoché illimitato potendo quindi investire ciò che vogliono con l’obiettivo di portare là tutti i migliori talenti. Non però quelli arrivati, a meno che non siano di grandissimo nome come Cristiano Ronaldo, ma giocatori che per almeno 4-5 anni possano esprimersi al top. Questo progetto, nella testa del Governo non è illimitato, non sarà quindi sempre festa: il meccanismo scelto è stato giudicato come la strada più veloce per alzare il livello di competitività del loro campionato. Poi, in una seconda fase, i club dovranno avere una sostenibilità, data dall’aumento di sponsorizzazioni e diritti televisivi i cui introiti oggi sono inesistenti. Loro, a gioco lungo, vogliono imitare il nostro modello di fare calcio".

In questa logica si pone la scelta di aver ingaggiato Mancini per la Nazionale.

"Sì, il loro obiettivo è duplice. Primo, avere un campionato trasmesso in occidente che faccia parlare dell’Arabia non soltanto in negativo per come li percepiamo noi. Secondo costruire e far crescere i giocatori arabi, che hanno una base di partenza migliore di quella cinese, e fare in modo che possano avere una Nazionale che, oltre a essere la migliore in Asia, possa essere competitiva anche con le nazionali storiche. Per questo hanno scelto il Mancio che, secondo loro, è uno dei migliori allenatori al mondo. E lì, essendo tutto fatto in sinergia, è probabile che Roberto entro un paio d’anni possa attingere a un bacino di giocatori nettamente migliorati rispetto a quelli che ha trovato".

C’è chi sostiene che il baricentro del calcio si sposterà là e che l’Europa diventerà come il Sudamerica, con club in cui dove brucia la passione dei tifosi ma destinati a essere di passaggio a campionati più ricchi.

"Mi sembra uno scenario apocalittico e sbagliato. Al contrario noi, per fortuna, abbiamo trovato un player, che è l’Arabia, che ha deciso di investire parte della sua ricchezza nel sistema calcio, immettendo tanti soldi freschi in un sistema, quello del calcio europeo, che non aveva più grandi margini di crescita, come sottolineato più volte pure da Andrea Agnelli nelle sue tante battaglie. I quindici-sedici grandi club in Europa, compresi quelli italiani, si arricchiranno grazie ai soldi arabi. E questo permetterà loro di migliorare le cose che non funzionano, ad esempio, per quanto riguarda il nostro paese, le infrastrutture. Sempre che non si rifacciano gli errori commessi quando, ai tempi, sono piovuti i soldi dai diritti tv...".

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Di fatto quindi non bisogna aver paura dell’Arabia.

"Dal punto di vista sportivo, può darsi che presto la finale del Mondiale per club sia tra un’europea e un club arabo, ma non vedo cosa ci sia di male, ben venga per quella manifestazione. Per quanto riguarda l’immissione di denaro nel nostro calcio ribadisco quanto ho detto: se quei soldi verranno usati bene, aiuteranno tutti".

Lei ha lavorato per il Bain Capital, un fondo americano: qual è la differenza di approccio tra questi due mondi?

"Ce n’è una, ma è sostanziale. I grandi fondi americani, in alcuni casi anche le grandi famiglie, si stanno affacciando con interesse al calcio europeo perché i costi delle franchigie americane, inclusa la Mls, sono altissimi. In Europa invece trovano club, anche importanti, a prezzi, rapportando i costi, estremamente favorevoli. Questo vale ancora di più in Italia dove siamo ancora indietrissimo sulle infrastrutture e quindi c’è ancor più possibilità di fare business. Ma, anche in questo caso non la vedo come una minaccia perché quella è l’unica strada per completare il passaggio dal mecenatismo a un meccanismo nuovo che preveda club che mirino all’autosostentamento generando anche business per chi ne è proprietario. In tal senso, il caso Milan è emblematico".

Milan che ha venduto agli arabi Tonali. Alla fine, tutto torna.

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Marco Fassone, il Newcastle, club del fondo sovrano saudita, fa stasera a San Siro il suo esordio in Champions. Che effetto fa?

"In Europa abbiamo già visto la parabola di Manchester City e Paris Saint-Germain, ovvero club che nei rispettivi campionati non vincevano da tantissimo tempo e, dopo essere stati acquisiti da proprietà-stato mediorientali molto ricche, si sono trasformati in 'macchine da calcio' perfette grazie a enormi possibilità di immettere denaro. A Newcastle è successa una cosa simile, lo stupore è piuttosto sul fatto che abbiano fatto così in fretta a riportare la squadra al top. Questo perché gli arabi hanno probabilmente metabolizzato qualche 'errore di gioventù' commesso da chi è arrivato prima di loro e per questo, pur immettendo molto denaro, non hanno fatto un mercato di stelle ma preso giocatori funzionali e di prospettiva".

Pif, fondo sovrano saudita, è anche proprietario di 4 club della Saudi League: Al-Hilal, Al-Ahli, Al-Ittihad e Al Nassr. C’è da aver paura di questo gigante?

"Il disegno del paese Arabia è molto più chiaro e meno nebuloso rispetto, ad esempio, a quello cinese. Obiettivo è trasformare un paese isolato politicamente e turisticamente in una nazione “friendly” verso il mondo occidentale e ha individuato nello sport uno dei vettori per riuscirci. Detto questo, mi è stato spiegato da loro che il fatto che i quattro club siano di proprietà dello Stato è un modo per creare una sinergia utile per trasportare dall’Europa un certo numero di tecnici e calciatori con l’idea di costruire un calcio locale forte che un domani possa competere con il calcio occidentale".

Quali sono le differenze con la “bolla” cinese?

"In Arabia ci sono premesse più solide: in Cina, dopo un anno o due si è capito che quel fenomeno sarebbe stato destinato a sgonfiarsi in tempi abbastanza rapidi".

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