Fabrizio Bava, professore ordinario in Economia Aziendale, il mercato si è chiuso: come valuta la sessione della Juventus, da un punto di vista squisitamente finanziario? «Sulla base dei numeri a disposizione, dunque con un piccolo margine d’errore riguardo i dati non pubblici, ho calcolato una riduzione dei costi fissi quantificabile intorno ai 7 milioni nell’immediato e intorno ai 35, in prospettiva, al 30 giugno 2026. Un trend ancora insufficiente alla luce dell’obiettivo dichiarato del raggiungimento dell’equilibrio economico entro il 2027. E anche inferiore alle attese, dato che alla vigilia nessuno avrebbe potuto immaginare un mercato così attivo in entrata. A posteriori, la scelta della società sembra chiara: se la squadra si rivelerà competitiva sul piano sportivo, nei prossimi due anni saranno necessari soltanto piccoli accorgimenti. E, intanto, migliorerebbero i ricavi in conseguenza dei buoni risultati sul campo».
Quali dati ha analizzato per arrivare a queste conclusioni? «Ho monitorato l’unica cosa che conta, per usare un costrutto caro alla Juventus: l’effetto delle operazioni di mercato sui costi fissi a regime. L’obiettivo per raggiungere l’equilibrio tra ricavi e costi è necessariamente quello di ridurre ingaggi e ammortamenti. Plusvalenze e minusvalenze, in questo caso, non assumono particolare interesse, così come non rilevano i costi una tantum in entrata o in uscita».
Alla luce di queste premesse, come ha lavorato Cristiano Giuntoli in estate? «La via maestra per ridurre i costi, naturalmente, consiste nella cessione dei cartellini. Il problema che il direttore tecnico si è trovato ad affrontare, però, riguarda l’ammontare degli ingaggi di alcuni calciatori che mi permetto di definire fuori mercato, almeno per la Serie A. Per cederli diventa necessario trovare qualcuno disponibile a riconoscere ingaggi molto importanti. Con Chiesa, in extremis, si è trovata una soluzione, ma questo non è sempre possibile».