Pagina 4 | Ambrosini: "Leao deve decidere chi è. La Juve si è aggrappata all'orgoglio"

MILANO - Massimo Ambrosini, in “Stavamo bene insieme” - film che si può vedere sulla piattaforma streaming Dazn - lei è la voce narrante dei migliori anni del Milan dopo l’era Sacchi e Capello. Quanto è importante che oggi a capo dell’area tecnica ci sia Paolo Maldini, capitano e leader di quella formidabile squadra?
 
«Non è importante, è fondamentale perché Paolo ha sempre unito una professionalità evidente a un’ambizione naturale. E il suo riconoscersi così tanto nella società ha fatto sì che questa ambizione sia stata trasferita alla squadra. E, con essa, un senso di responsabilità verso la storia che ha questo club».  
 
Nel film lei, Pirlo, Nesta, Gattuso, Inzaghi e lo stesso Maldini descrivete in modo strepitoso l’arrivo di Kakà, ammettendo come nessuno credesse fosse tanto forte vedendolo ben pettinato e con quegli occhialini da studente modello. Quanto ha fatto male a De Ketelaere il paragone con Ricky?
 
«Di Kakà ce n’è uno ogni cinquant’anni. Quando Ricky è arrivato in Italia questo sport stava cambiando e lui era un prototipo di calciatore diverso. Per questo averlo paragonato a De Ketelaere è stato ingiusto e ingeneroso, ma credo che quel parallelismo sia durato poco visto quanto siano diversi i due come giocatori».
 
Lei si è accorto subito, vedendo Kakà, quanto fosse forte?
 
«Nei primissimi allenamenti non mi aveva impressionato come magari era capitato con altri. Però è bastata una partita, quella ad Ancona, per farmi capire abbondantemente il suo valore: Ricky aveva uno strapotere fisico e tecnico che rendevano tremendamente efficaci anche giocate in apparenza semplici. In più, era un mostro di concretezza».

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Tornando a De Ketelaere, perché il belga sta stentando così?
 
«Perché, entrando in un mondo nuovo, sta molto attento ad applicarsi su quanto gli viene richiesto e questo credo gli abbia tolto un po’ di spensieratezza nel gioco».
 
Il Milan pensato da Maldini è molto giovane: c’è la possibilità di aprire un ciclo?
 
«Certo, anche perché Paolo e Stefano Pioli hanno mantenuto sempre alta l’asticella dell’ambizione. Per creare un ciclo ci vogliono, oltre all’ambizione, pure serietà, progettualità e mentalità. E questa squadra è pronta per competere per più anni, che è la base per restare in alto».  
 
È giusto dire che Leao, viste le sue frequenti eclissi, non sia ancora un fuoriclasse?
 
«Il ragazzo è ancora all’interno di un processo di crescita: madre natura lo ha dotato di un motore dalla cilindrata superiore a tutti gli altri e per questo non deve accontentarsi per quello che sta facendo. Limitare questi passaggi a vuoto dipende soltanto da lui».


 
Ritiene che il Milan sia il posto giusto, come ha più volte sottolineato Maldini, per completare questo processo di crescita?
 
«Leao al Milan è tutelato, ben voluto e difficilmente messo in discussione. Ripeto: dipende da lui, i sei mesi post-Mondiali saranno decisivi per capire se riuscirà a fare questo salto di qualità anche in Champions».
 
Adriano Galliani, altro protagonista nel film di Dazn, ha sempre detto che i centravanti vanno scelti con l’almanacco Panini: forse è stato sottovalutato il fatto che Origi abbia segnato tanto poco in carriera?
 
«Beh, ma Origi è sempre stato questo. C’era un’opportunità data dal suo contratto in scadenza e giustamente è stata sfruttata. Origi è un ragazzo serio, adatto al modo in cui vuol giocare il Milan. Pioli un centravanti che segna gol, anche difficili in acrobazia e all’ultimo minuto ce l’ha ed è Giroud e, per quest’anno, il Milan è a posto. Di sicuro è un argomento che andrà preso in considerazione in futuro, ma non riguarda Origi perché lui, al Liverpool con Firmino, era utile pure senza giocare da centravanti».
 
Cosa può dare ancora Ibra al Milan?
 
«Innanzitutto deve stare bene. Perché la sua presenza può essere decisiva anche se gioca un quarto d’ora».

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Chi le ricorda Pioli tra gli allenatori che ha avuto?
 
«Direi nessuno perché il modo di allenare oggi rappresenta l’evoluzione di quello che è stato il calcio nel passato. Ora si allena su concetti diversi rispetto a quando giocavo io. Ai miei tempi in campo c’erano posizioni precise da occupare, mentre un allenatore moderno dà più concetti possibili che il giocatore deve elaborare durante la partita».
 
Qual è la dote migliore di Pioli?
 
«La capacità con cui ha trasferito ai giocatori la presa di coscienza della forza della squadra, il non aver mai concesso alibi a nessuno, il fatto di non essersi mai pianto addosso a fronte di alcune avversità passate nell’ultima stagione e il fatto che, a differenza di altri, non si è mai nascosto mostrando le ambizioni del club. Grazie a tutto questo, Pioli ha aumentato la competitività di una squadra che in campo si è sempre mostrata spavalda, ma mai presuntuosa».
 


A proposito: si aspettava che il Napoli andasse così forte?
 
«Se rispondessi di sì, direi una follia: credo che nessuno si aspettasse che tenessero quel ritmo. Credo che il loro exploit sia frutto di un mix dato dall’allenatore, che ha preso coscienza dell’importanza del lavoro svolto, e dai giocatori che sono stati bravi a ridistribuire tra loro le responsabilità dopo che sono state fatte alcune cessioni molto importanti. Però è indubbio che il lavoro fatto da Spalletti sia la cosa migliore espressa dal calcio italiano in questa prima parte di stagione». 
 
A gennaio, tra il 4 e il 13 il Napoli affronterà Inter e Juventus: pensa siano già decisive quelle due sfide?
 
«Diranno tanto e soprattutto diranno se le altre pretendenti allo scudetto possono iniziare a pensare di accorciare il distacco dalla capolista. Saranno due scontri diretti che potranno reindirizzare la seconda parte di stagione oppure, al contrario, se il Napoli dovesse continuare a vincere, beh inizierebbe a diventare impossibile andare a prenderlo».
 

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Quanto peserà sulla seconda parte della stagione l’effetto mondiale?
 
«È impossibile determinarlo addirittura prima che finisca la fase a gironi».
 
Se l’aspettava il ritorno della Juve?
 
«La Juventus si è aggrappata all’orgoglio che non aveva mostrato fino alla sconfitta di Monza dove hanno davvero toccato il fondo facendo una partita pessima. Da lì, come sottolineavo, si sono aggrappati all’orgoglio, alla determinazione, alla dignità e, trovando forze nuove nei giovani, hanno messo le basi. Ora, per continuare a venirne fuori, devono aggiungere qualcosa che prima di tutto sono i giocatori che sono mancati. Però hanno ritrovato una logica di squadra e non era scontato che ci riuscissero, visto il punto da cui partivano».
 
Crede che Allegri ora prosegua nel solco del 3-5-2 oppure possa tornare al progetto estivo del 4-3-3?
 
«Penso che ripartirà dal 3-5-2 perché ha trovato delle certezze in una squadra che era in difficoltà e queste certezze a cui la Juve si è aggrappata non vanno abbandonate».  
 
In questa prima parte di stagione è pesata più l’assenza di Pogba per la Juve oppure quella di Lukaku per l’Inter?
 
«Visto il rendimento di Dzeko e di Lautaro, direi l’assenza di Pogba che però ha aiutato la Juve a scoprire i Miretti e i Fagioli».


 
Qual è ora la strada migliore per completarli?
 
«Fagioli è già andato a Cremona e da lì è tornato più sicuro nei suoi mezzi. Anche io, dopo il prestito al Vicenza, sono tornato al Milan con una consapevolezza diversa. I giovani devono giocare e uno non è che può sperare che si facciano male due o tre davanti a lui perché arrivi un’opportunità. Se un giovane si trova in una condizione in cui capisce di avere davanti a sé poco spazio deve pensare a fare un investimento sul proprio futuro deve pensare innanzitutto a trovare continuità».
 
La sorpresa di questa prima parte di stagione e la delusione.
 
«Beh, il Napoli è stato una meraviglia anche per quello che ha fatto in Champions. La delusione direi i primi mesi della Juve che sono stati ben oltre le più pessimistiche aspettative per l’atteggiamento tenuto dalla squadra: qualcosa di assolutamente inaspettato».

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Quanto peserà sulla seconda parte della stagione l’effetto mondiale?
 
«È impossibile determinarlo addirittura prima che finisca la fase a gironi».
 
Se l’aspettava il ritorno della Juve?
 
«La Juventus si è aggrappata all’orgoglio che non aveva mostrato fino alla sconfitta di Monza dove hanno davvero toccato il fondo facendo una partita pessima. Da lì, come sottolineavo, si sono aggrappati all’orgoglio, alla determinazione, alla dignità e, trovando forze nuove nei giovani, hanno messo le basi. Ora, per continuare a venirne fuori, devono aggiungere qualcosa che prima di tutto sono i giocatori che sono mancati. Però hanno ritrovato una logica di squadra e non era scontato che ci riuscissero, visto il punto da cui partivano».
 
Crede che Allegri ora prosegua nel solco del 3-5-2 oppure possa tornare al progetto estivo del 4-3-3?
 
«Penso che ripartirà dal 3-5-2 perché ha trovato delle certezze in una squadra che era in difficoltà e queste certezze a cui la Juve si è aggrappata non vanno abbandonate».  
 
In questa prima parte di stagione è pesata più l’assenza di Pogba per la Juve oppure quella di Lukaku per l’Inter?
 
«Visto il rendimento di Dzeko e di Lautaro, direi l’assenza di Pogba che però ha aiutato la Juve a scoprire i Miretti e i Fagioli».


 
Qual è ora la strada migliore per completarli?
 
«Fagioli è già andato a Cremona e da lì è tornato più sicuro nei suoi mezzi. Anche io, dopo il prestito al Vicenza, sono tornato al Milan con una consapevolezza diversa. I giovani devono giocare e uno non è che può sperare che si facciano male due o tre davanti a lui perché arrivi un’opportunità. Se un giovane si trova in una condizione in cui capisce di avere davanti a sé poco spazio deve pensare a fare un investimento sul proprio futuro deve pensare innanzitutto a trovare continuità».
 
La sorpresa di questa prima parte di stagione e la delusione.
 
«Beh, il Napoli è stato una meraviglia anche per quello che ha fatto in Champions. La delusione direi i primi mesi della Juve che sono stati ben oltre le più pessimistiche aspettative per l’atteggiamento tenuto dalla squadra: qualcosa di assolutamente inaspettato».

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