Un italiano al Borussia: «Il biglietto dell’Avvocato»

Intervista al vicepresidente del club di Dortmund. Puller: «Nel ‘91 Agnelli mi diede un foglietto con tanti nomi di campioni tedeschi. Mi disse: me li porti alla Juve. Non aveva capito chi fossi!»
TORINO - «Giovanni Agnelli non aveva esattamente capito chi fossi, ma si avvicinò e mi diede un foglietto: “Ci porti questi giocatori”. Lo lessi... c’era praticamente tutta la nazionale tedesca campione del mondo del ‘90!». Michele Puller prorompe in una risata nostalgica, perché il primo incontro con l’Avvocato non si scorda facilmente e per lui, vicepresidente del Borussia Dortmund e dirigente del club da 22 anni, quella stretta di mano è ancora un prezioso cimelio della memoria. «Iniziava in quel momento un rapporto solido fra i due club che tutt’ora sono amici. Ho fatto affari con Boniperti, con Montezemolo, con la Juve della Triade e adesso anche con Andrea e Marotta per la trattativa Immobile, anche se in quest’ultimo caso ho solo fatto una telefonata».

Declino clamoroso
L’italiano ai vertici del Borussia ha visto passare davanti ai suoi occhi l’ascesa e la caduta del nostro pallone, dal punto di vista della Bundesliga: «Tra gli Anni 90 e l’inizio dei 2000 l’Italia era il centro del calcio mondiale, adesso il declino è clamoroso. Non c’è stata abbastanza programmazione nei periodi ricchi e ora non c’è capacità organizzativa per il rilancio. La Juventus è un esempio: stadio, programmazione, gestione... Purtroppo non è seguita. Il nocciolo della questione per me restano gli stadi, lo dicevo a Galliani: se volete riportare la gente alla partita, dovete iniziare dalle strutture. E poi svelenire il clima: troppe polemiche e poca gioia. In Germania il calcio è un divertimento, si passa molto meno tempo a litigare su un fuorigioco e molto di più a godere l’aspetto più spettacolare». Certo, l’economia aiuta... «Sì, ma guardate l’esempio del Borussia: qualche anno fa ci siamo ritrovati a terra, a un passo dal fallimento, ma ci siamo ritirati su con un progetto, senza bisogno di soldi stranieri. Ci siamo dati una linea e l’abbiamo seguita: in quelle condizioni economiche potevamo solo puntare sui giovani e l’abbiamo fatto con coerenza e convinzione, dando fiducia al piano anche nei momenti difficili. Alla fine abbiamo avuto ragione. Certo, siamo stati fortunati a ritrovarci i Goetze e i Lewandowski, ma in fondo la finalità del progetto era quella».

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