Il capolavoro dei Percassi e di Gasperini

Il capolavoro dei Percassi e di Gasperini© AFPS

La confidenza di Gasp era stata spontanea: «Sai qual è la cosa che ci fa sempre più piacere, in questi anni del terzo e del quarto posto, delle due volte in Europa League, della finale di Coppa Italia, su su sino alla Champions League? La felicità della nostra gente». La nostra gente, dice Gian Piero Gasperini, torinese di Grugliasco, cittadino onorario di Bergamo che a Bergamo, da stanotte in preda al delirio atalantino, ha dedicato un’impresa letteralmente storica. Per il nostro calcio e per la Champions League. E’ un’impresa che viene da molto lontano. Da quel giorno di giugno 2010, quando, caso più unico che raro, Antonio Percassi acquista per la seconda volta la squadra della quale è stato calciatore in Serie A, giocando anche al fianco di Gaetano Scirea, al quale l’accomunano lo stile di vita e la sobrietà. L’Atalanta negli ottavi di Champions non è né un miracolo né il prodigio della Dea della corsa, ma un autentico capolavoro di organizzazione e di programmazione, costruito giorno dopo giorno in questi nove anni e mezzo. Riconquistando subito la Seie A, partendo ogni volta con il mantra estivo dei 40 punti e delle otto parole che il presidente ripete a ogni raduno: «La cosa più importante è mantenere la categoria».

Strada facendo, l’orizzonte è diventato sempre più ampio, a mano a mano che i 60 milioni investiti nel centro sportivo di Zingonia e nel settore giovanile li hanno fatti lievitare a una dimensione europea, come ribadito proprio ieri, con la vittoria in Ucraina e l’ingresso negli ottavi di finale della Youth League, dalla Primavera campione d’Italia di Massimo Brambilla. E ancora: il ruolo fondamentale di Luca Percassi, 39 anni, figlio di Antonio, amministratore delegato del club, l’uomo dei record di utili e di fatturato. Accanto a lui, il direttore generale Umberto Marino; Giovanni Sartori e Gabriele Zamagna, adusi scandagliare mercati meno battuti dalla concorrenza per scovare elementi come Djimsiti, Freuler, Gosens, Hateboer, Palomino, Malinovskiy. Per non dire di Maurizio Costanzi, il titolare dell’eldorado di Zingonia che sta onorando l’eredità di Mino Favini (avete presente Kulusevski? Segnatevi anche Piccoli, Heidenreich, Panada, Ghislandi, Cortinovis, Gelmi, Traoré). Di Roberto Spagnolo, direttore operativo, l’uomo del Muro Neroblù costruito in quattro mesi al Gewiss Stadium. Di Romano Zanforlin, il mago del marketing. E poi, nel 2016 è arrivato lui, Gasp. Il Dentista del pallone che ha dato molto fastidio anche al City e a Guardiola, per usare la felice, ondontoiatrica metafora di Pep dopo il pareggio dei Citizens con la Dea. Rispetto alla sua prima Dea, con Gasperini sono rimasti soltanto in quattro. Il che la dice lunga sulla capacità del Cittadino Onorario Bergamasco di modellare e rimodellare l’Atalanta anno dopo anno, riuscendo sempre a spostare un passo più in là i limiti di una squadra che esalta il gioco aggressivo e spettacolare di chi l’allena. Nel nome di una tifoseria che con l’Atalanta ha un legame di cemento armato e non conosce confini. L’Ucraina può confermare.

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