Alla fine non si è capito di chi è la colpa, perché sembra se la siano presa un po’ tutti. In compenso si è capito benissimo chi pagherà: nessuno. Il fallimento agli Europei non costerà niente a nessuno, come non era costata niente a nessuno la sconfitta con la Macedonia del Nord che ci aveva sbattuto fuori dal Mondiale 2022. Due disastri sportivi che non rappresentano sfortunati episodi agonistici, ma sono indicatori di un sistema che non funziona anche perché si è, forse irrimediabilmente, attorcigliato intorno alla conservazione del potere e agli interessi individuali. Infatti non è un sistema. E questo è il nostro fondamentale problema: il calcio italiano, industria importante per il Paese, non solo diletto, è dilaniato dai tornaconti personali di chi lo compone e schizza in mille direzioni diverse. Pensare che in queste condizioni si possano attuare riforme o lanciare dei piani con uno sguardo al futuro è illusorio, perché non esiste la possibilità di condividere un progetto comune. E questo ci condanna al progressivo peggioramento. C’è stato un punto di svolta del calcio italiano ed è stato nel 2006.
Il punto di svolta
Si veniva da Calciopoli, da un calcio in cui la Serie A, governata da Juventus e Milan, aveva così tanto potere da apparire come una dittatura e lo scandalo (con tutte le sue contraddizioni e tutte le sue clamorose disparità di giudizio) servì per smontare quel sistema (che ci aveva portato a un Mondiale e a un discreto dominio in Champions) per crearne un altro, spostando il potere nelle mani delle componenti più numerose, come la Serie C e la Lega Nazionale Dilettanti, ma meno produttive in termini economici. Da quel momento, il presidente federale è sempre stato eletto con quei voti, marginalizzando la locomotiva del settore, ovvero la Serie A. A sua volta, la Serie A ha dato il peggio di sé, dal 2006 in poi, trasformandosi in una specie di condominio le cui assemblee sono litigiose come quelle per rifare la facciata. La Serie A si divide su tutto o quasi e, quindi, oltre a essere in minoranza nel Consiglio Federale (il governo del calcio italiano), non riesce neanche a far valere il suo peso economico, presentandosi come blocco monolitico, ma disperde la sua forza in battaglie personali e si spacca sulla figura di Claudio Lotito.
Insomma, forse è perfino inutile parlare di riforme o di cambiamento in un sistema nel quale nessuno si schioda dalla poltrona e totalmente paralizzato dalle battaglie interne, ma ci sono comunque alcuni punti che potrebbero essere la base di un progetto di rinascita che vale la pena analizzare.