Agnelli, sempre un passo avanti: è il Best European President

Si è aggiudicato il riconoscimento per aver allungato la serie di successi della Juve in una stagione complicata
Agnelli, sempre un passo avanti: è il Best European President© Juventus FC via Getty Images

TORINO - Il perché Andrea Agnelli sia il presidente che ha costruito uno dei più longevi cicli della storia del calcio, peraltro partendo dalle ceneri di un club, va cercato nelle sue due nature di tifoso e manager. Il segreto è farle convivere con equilibrio: tifoso nel cuore, manager nella testa. Bastano le inquadrature della tribuna per capire quanto e come viva le partite della Juventus, ma basta seguire un meeting dell’ECA, di cui è presidente per comprendere come quella passione venga razionalizzata. Il calcio è un’industria e come tale ha bisogno di manager (il calcio italiano non può prescindere da questo assunto), ma il calcio è un’industria che lavora una materia prima molto particolare: la passione, declinata in molte forme e colori. Il manager, quindi, non può essere completamente asettico, non sapere esattamente cosa sia la materia prima che la sua industria tratta.

Le rivoluzioni fatte

Il manager Agnelli, appassionato di Juventus prima ancora di saper leggere e scrivere, la conosce benissimo. Ed è per questo che ha costruito un club in grado di vincere 17 trofei in 10 anni (9 scudetti, 4 coppe Italia, 4 Supercoppe), di tornare ai vertici europei e di ingaggiare il giocare più famoso e forte del mondo. Se si pensa a cosa aveva ereditato nel 2010, l’impresa è ancora più formidabile, perché prese in mano una società economicamente affannata e una squadra tecnicamente diroccata. In quel momento i tifosi dubitavano di rientrare, prima o poi, nelle prime quattro del campionato, oggi vengono da nove anni trionfali e una rosa spettacolare (e c’è chi si lamenta, ma questo è intrinsecamente juventino). E il progetto, ovviamente continua. Anzi, è stato coniato anche uno slogan, apparentemente criptico, ma nel quale c’è l’essenza della filosofia juventina quel «live ahead» difficile da tradurre se con un «vivi avanti», ma che riassume la voglia di primeggiare (e stare quindi davanti agli altri), ma anche di innovare, di arrivare prima degli altri alle soluzioni e alle prospettive. Lo stadio, l’evoluzione del marchio, la strategia commerciale per vendere un’idea più che una squadra di calcio, l’impegno contro il razzismo, la creazione della squadra femminile con criteri professionali (e praticamente professionistici), la creazione della seconda squadra, la modernizzazione della parte tecnica grazie a un centro sportivo innovativo, la creazione di uno staff più complesso e organico, l’utilizzo di un proprio centro medico: è un elenco lunghissimo quello delle microrivoluzioni bianconere che hanno contribuito a riportare il club ai vertici mondiali, facendone una guida non solo per l’Italia, ma anche per l’Europa.

Quelle da fare

E la sfida continua per la Juventus che, solo per citare i progetti a più breve scadenza, ha in agenda: la costruzione di un nuovo stadio per Under23 e Women, la risalita economica dalla crisi Covid, le nuove frontiere degli e-sport. Vivere avanti, insomma. Ma Agnelli ha a cuore anche le sfide comuni, perché sa benissimo come la Juventus viva in un ecosistema e che la salute di questo incida in modo sostanziale su quella del suo amato club. La prossima grande sfida, per esempio, è la riforma del calendario, di cui tutti si lamentano, ma nessuno tocca da decenni. Armonizzare gli impegni dei club e delle nazionali, in modo che i primi non vengano penalizzate dalle seconde e le secondo trovino il rispetto che meritano. Equilibrare il numero degli impegni per non stressare troppo gli atleti, riducendone le prestazioni e, quindi, lo spettacolo. Riuscire a creare un meccanismo che, con scelte più logiche e razionali, produca uno spettacolo migliore e più appassionante. Perché l’allarme lanciato due anni fa da Agnelli resta attuale: la popolarità del calcio lista erodendo nelle nuove generazioni, più attratte dai videogiochi che dal pallone. È un rischio enorme per il sistema calcistico mondiale e non affrontarlo seriamente sarebbe come chiudersi gli occhi e non guardare avanti. O vivere avanti, se preferite.

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