Golden Boy, Arianna Fabbri: "Nicole Arcangeli, determinazione di ferro"

La sua scopritrice rivela: "Ha tecnica e grinta non comuni. Da sempre di poche parole, parla con gli sguardi. E quel quadro per natale.."
Golden Boy, Arianna Fabbri: "Nicole Arcangeli, determinazione di ferro"© Juventus FC via Getty Images

La chiama “Nicky”. Le viene spontaneo. Ogni volta che rivela un pezzo del suo percorso insieme a lei la chiama “Nicky”: lo fa quando sceglie di mettere in risalto la ragazza prima della calciatrice. Quel viso che ha visto bambino e sul quale oggi ha ritrovato lo sguardo di una donna. Forse nessuno – genitori a parte – meglio di Arianna Fabbri, fondatrice 10 anni fa e ancora oggi presidente del Riccione, può raccontare chi è Nicole Arcangeli, l’attaccante della Juventus che lunedì riceverà il premio di Italian Golden Girl.  
 
Qual è il primo ricordo in assoluto di Nicole?

 
«Ricordo una bimba così piccola da non riuscire a salire da sola sul pulmino con cui andavo a prenderla sotto casa. Dovevo scendere, ogni volta. Non aveva ancora 6 anni e quella era la sua prima esperienza, alla Polisportiva Junior Coriano: avevo conosciuto la sua famiglia grazie a un’amicizia in comune, la sorella faceva triathlon e anche lei, ma aveva già una grande passione per il calcio».

 
Quella è stata la vostra casa per i primi tre anni. Poi cos’è successo?
 
«Nel 2012 ho deciso di staccarmi e di fondare una realtà solo al femminile, il Riccione: Arcangeli mi ha seguita e ha vissuto tutte le tappe del vivaio. Per questo dico che siamo cresciute insieme!».
 
Che cosa l’aveva subito colpita di lei?
 
«Oltre a qualità coordinative e tecniche inusuali per una bambini di quell’età, mi aveva colpito la sua determinazione: la percepivo in ogni che faceva. Il nostro lavoro è stato semplice».
 

In che senso?
 
«Non c’è mai stato bisogno di dirle quello che doveva fare, nemmeno negli anni più delicati dell’adolescenza. Forse l’unica cosa a cui siamo stati chiamati è stata quella di aiutarla a rimanere sempre con i piedi per terra e di fare dell’umiltà un tratto distintivo. Cosa che è accaduta».  
 
E a livello tecnico?
 
«Le sue qualità di tiro e passaggio erano evidenti, ma a un certo punto i responsabili avevano valutato che tre allenamenti non bastassero, allora ne avevamo aggiunto uno individuale solo dedicato alla tecnica, perché nonostante le doti innate era importante continuare ad allenarla sempre e sempre meglio».
 
Come è andata la trattativa che, nel 2019, l’ha portata alla Juventus?
 
«Quell’estate Nicky aveva fatto molto bene in un torneo in Inghilterra con la Nazionale: dopo quell’esperienza avevamo ricevuto parecchie telefonate. Roma, Empoli, Sassuolo e anche la Juve. Lei era un po’ “sballottata” di fronte a tanto interesse, ma io mi ero resa conto che il momento fosse arrivato: avevo detto ai suoi genitori “Qui a Riccione le abbiamo dato tutto quello che era nelle nostre potenzialità, ma adesso è evidente che questa realtà inizi a starle un po’ stretta”».
 
A 16 anni, ecco il trasferimento alla Juve.
 
«Le è bastato un provino, l’hanno presa subito. E lei, insieme alla famiglia, non ha avuto dubbi nello scegliere la società bianconera: al di là del nome, che ha chiaramente il suo prestigio, credo che la famiglia sia stata convinta anche dalla realtà strutturata che i bianconeri potevano garantire. Una realtà attenta alla crescita della ragazza anche al dì là del campo. Mamma e papà erano distanti, ma tranquilli sapendola lì».
 
Vi sentite ancora?
 
«Il nostro rapporto non è fatto di quotidianità, ma si basa sulla consapevolezza di esserci sempre, l’una per l’altra. Abbiamo festeggiato entrambe il compleanno a ottobre e ci siamo sentite, l’unica volta che è rientrata in questa stagione è passata a trovarmi in società. Sono felice perché lei è un bell’esempio per le ragazze che qui continuano a crescere».
 

A livello umano, invece, che tipo è?
 
«È sempre stata una di poche parole, ma per lei hanno sempre parlato gli occhi, gli sguardi, gli abbracci. Quando l’ho lasciata era una bambina, “temevo” questo suo carattere chiuso per il suo adattamento in un gruppo. Invece l’ultima volta che l’ho rivista, dopo questi anni alla Juve, ho ritrovato una donna. Ma pur sempre la Nicky, quella che per Natale mi ha portato un quadro, da appendere in sede, con la scritta “Ovunque andrò sarete sempre nel mio cuore”. Questo significa non dimenticare da dove sei partita ed è dimostrazione di grande maturità, oltre che un’emozione immensa per me ogni volta che lo vedo».
 
Oggi Nicole è parte integrante della rosa di Montemurro: si sente di paragonarla a qualche giocatrice della Serie A?
 
«Mi ricorda Bonansea per la posizione e il modo di muoversi in campo».

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