"Gioco a calcio, la cosa più bella del mondo", ci ha detto Lamine Yamal sette mesi fa, quando in pochi sapevano quanto fosse forte. Noi, invece, sapevamo da un po’ come fosse un fenomeno di precocità e, infatti, eravamo andati a trovarlo a Barcellona. Che fosse uno da seguire con attenzione lo avevamo capito quando ce l’eravamo trovati nei 25 finalisti del Golden Boy 2023, grazie a una wild card fortemente voluta dalla giuria. Nonostante a ottobre, Yamal, avesse al suo attivo appena una decina di partite da titolare nel Barcellona, i giurati non avevano avuto alcun dubbio nell’inserirlo tra i venticinque candidati al premio. E alla fine, nella classifica definitiva Yamal si era clamorosamente piazzato al terzo posto, meritando comunque un premio, perché con i suoi sedici anni e quattro mesi era in assoluto il più giovane dei candidati al Golden Boy arrivato nella top ten. Tuttavia, nella serata di gala del 4 dicembre, Yamal non era potuto venire a ritirare il premio.
Yamal e il segreto per la felicità
"Il giorno dopo ho scuola e c’è una verifica importante" è stata in assoluto la più bella giustificazione mai avuta nella storia del Golden Boy, non solo perché assolutamente vera, ma perché rendeva bene l’idea dell’incredibile età di Yamal, uno che doveva far convivere le prime apparizioni in Champions League con i compiti in classe di chimica. E quando siamo andati a portargli il premio, direttamente alla Masia, il grande centro sportivo del Barcellona, ci spiegava: "Ma no, non la sento la pressione. Forse proprio perché ho sedici anni. Non riesco a non considerarlo un gioco, anche quando si svolge in un grande stadio. La prima volta che sono andato in campo con la prima squadra, Xavi mi ha detto: vai e gioca a calcio. E mi ha tranquillizzato perché è esattamente quello che so fare e che mi piace fare. Tutto il resto non mi interessa: un pallone, una porta e dieci compagni, quella è la felicità".
Yamal e il Golden Boy 2023
Era imbarazzato nel ricevere il premio e di attirare l’attenzione di un giornale “straniero”. Più che parlare, aveva voglia di mostrarci con orgoglio la Masia, il centro sportivo dove il Barcellona raccoglie tutte le sue formazioni: dai bambini delle elementari fino alla prima squadra. "Praticamente è casa mia, perché vengo qui da quando ho otto anni e adesso ci abito anche", ha detto indicandoci il pensionato. Lì accanto, un paio di campi dove giocavano la loro partita le formazioni Under 12. Yamal si era messo dietro la rete a guardarli: solo quattro o cinque anni prima era lì con loro, adesso portava un prezioso trofeo sotto braccio. "Mi sono sempre allenato su questi campi, sapendo che qualche metro più in là lo facevano Messi, Iniesta e tutti gli altri campioni. Qualche volta li potevi anche incrociare nei vialetti del centro o sbirciare una loro partitella". Cosa c’è di più ispirante per un ragazzino?
La leggerezza di Yamal e il rimpianto Azzurro
In quell’ora trascorsa con lui, nello scorso dicembre, ci ha stupito la semplicità con la quale Yamal ha smontato le nostre idee di un ragazzo troppo giovane per l’enorme pressione che lo stava per circondare, tra le aspettative dell’ambiente del Barcellona e la crescente attenzione internazionale: "Ma io gioco a pallone, cosa posso chiedere di più?". Nell’infinita innocenza di questa risposta c’era altrettanta saggezza, forse involontaria o, chissà, forse frutto di una riflessione più matura dei suoi sedici anni. Non è importante stabilirlo, perché comunque è la più esauriente spiegazione di quel tiro meraviglioso nella semifinale contro la Francia e di un Europeo da grande campione, con sfumature da fenomeno. Quella leggerezza che è mancata ai nostri giocatori e che sicuramente manca a molti dei nostri ragazzini sparpagliati per settori giovanili in cui si gioca troppo poco "a pallone". Non che basti questo a costruire un campione come lui (di Yamal ne nasce uno ogni vent’anni) ma quella è l’unica strada per provarci.