Una vita da numero 12

Da Giulio Nuciari – che detiene il record di panchine in Serie A, ben 333 – a Giancarlo Alessandrelli passando per Raffaele Di Fusco, Astutillo Malgioglio, Michelangelo Rampulla, Marco Ballotta e quei portieri che hanno vissuto una carriera da comprimari
Una vita da numero 12

Il portiere coi baffi. Una sagoma che non si dimentica e non si confonde quella di Giulio Nuciari, 333 panchine da portiere di riserva in Serie A. Nipote d'arte, lo zio ha giocato nella Spal e nella Ternana tra gli anni Quaranta e Cinquanta, arriva al Milan nel 1982. Vive gli anni bui prima dell'era Berlusconi. Ilario Castagner crea il dualismo con Ottorino Piotti, il “John Travolta della domenica pomeriggio” arrivato nel 1980 per il campionato di B dopo la retrocessione imposta per il Totonero.

NUCIARI. Fa il suo esordio in Serie A l'11 settembre 1983, proprio contro l'Avellino che vince 4-0. Lo stesso giorno all'Inter Walter Zenga debutta contro la Sampdoria, trafitto due volte da Francis. «Eppure le critiche furono tutte per me» ammetterà Nuciari anni dopo, «lui è diventato Zenga, e io sono diventato Nuciari, portiere di riserva».
Al Milan gioca 18 partite in B e dieci delle sue 17 presenze complessive in Serie A. Ne aggiunge 15 in Coppa Italia e una nello spareggio Uefa di Torino del 1987. È titolare al posto di Giovanni Galli, il gol di Massaro vale l'1-0 alla Sampdoria. E sarà proprio la Samp il suo passaggio successivo.
È il vice di Pagliuca negli anni migliori della storia blucerchiata. Vanno d'accordo, racconta. Pagliuca è un amico sempre disponibile per un consiglio. Gioca un paio di partite nel 1990-91 per squalifica del titolare. Vince lo scudetto, assiste dalla panchina alla finale di Coppa dei Campioni contro il Barcellona. Ha un ruolo delicato, le responsabilità aumentano quando vieni chiamato poche volte nel corso di una stagione. Il 10 maggio del 1993 Pagliuca centra il guardrail subito dopo Genova sull'autostrada per Livorno. L'airbag gli salva la vita ma ha una frattura alla clavicola, la sua stagione è finita. Per le ultime quattro giornate gioca Nuciari, che liscia sul retropassaggio contro il Foggia (finirà 1-0, gol di Kolyvanov) e ne combina un'altra contro la Roma alla penultima: calcia su Bonetti, Carnevale ringrazia e segna il gol dell'1-1. La partita finirà 2-2, la Samp perderà poi a Brescia la settimana successiva e mancherà la qualificazione in Coppa Uefa. Nuciari è il primo degli accusati. Lascerà presto il calcio, nel 1995, per diventare allenatore dei portieri. Ha lavorato a lungo con l'amico Roberto Mancini prima alla Lazio, poi all'Inter.

ALESSANDRELLI E BODINI. Il portiere di riserva rimane un ruolo di solitudini e di esuli pensieri. Se poi, come Giancarlo Alessandrelli, davanti ti ritrovi Dino Zoff, diventa una prova di resistenza alla frustrazione. Gioca dieci campionati di fila nella Juve, senza saltare nemmeno una partita. Alessandrelli, che eredita lo scomodo posto alle sue spalle nel 1976 da Massimo Piloni, attende il suo momento per 113 partite di fila in A, fino al secondo tempo della partita contro l'Avellino, ultima giornata della stagione 1978-79. La Juve è avanti 3-0, Alessandrelli in mezz'ora subisce tre gol. È la fine della sua storia alla Juventus. Dietro Zoff arriva Luciano Bodini. Cambia il nome ma l'orizzonte rimane lo stesso di Alessandrelli. Zoff lascia dopo il gol di Felix Magath ad Atene che vale la Coppa dei Campioni per l'Amburgo. “Non posso parare anche l'età” ammette Zoff, che annuncia l'addio al calcio e chiede che la porta della Juve sia affidata a Bodini nell'imminente finale di Coppa Italia poi vinta contro il Verona. Bodini, il portiere con la passione per la pittura, sogna una maglia da titolare. È nel pieno della maturità, ha vinto anche il Mundialito, ma la Juventus compra Tacconi che diventa subito titolare. Bodini rimane comunque a Torino. C'è lui in porta nella semifinale contro il Bordeaux che aprirà ai bianconeri le porte della finale di Coppa Campioni all'Heysel contro il Liverpool. Su quella qualificazione ci sono anche le mani di Bodini che nella semifinale di ritorno a Bordeaux cancella i sogni di rimonta dei girondini. Tigana nel finale si accentra e tira, due difensori coprono il portiere, un gol significherebbe 3-0 e tempi supplementari ma Bodini si sposta alla sua destra e con due mani respinge.

DI FUSCO. Non è facile aspettare, stare a guardare, vivere di luce riflessa mentre qualcun altro si gode un palcoscenico da protagonista. Così c'è anche chi, secondo portiere per professione, si diletta in altra vocazione come Raffaele Di Fusco, un'istituzione al Napoli, secondo di Castellini, Garella, Giuliani, Giovanni Galli e Taglialatela. Assiste dalla panchina ai due scudetti e al meglio dell'era Maradona, finché ad Ascoli, l'11 giugno 1989, negli ultimi dieci minuti il tecnico Ottavio Bianchi lo fa entrare ma lo schiera in attacco, al posto di Careca. Un eterno secondo che ha trovato un diverso, fugace, momento di gloria.

GLI ALTRI. Hanno storie comuni eppure tutte diverse i secondi portieri nella piccola storia del calcio italiano, Astutillo Malgioglio (vice di Tancredi nella Roma finalista di Coppa Campioni e di Zenga nell'Inter dello scudetto dei record nel 1989), Michelangelo Rampulla, Marco Ballotta, che poi si divertirà a giocare come attaccante, o Beniamino Abate, titolare solo da giovane a Benevento, Messina e per due anni a Udine.
Storie come quella di Javier Berasaluce, basco che ha iniziato negli anni Trenta, che giocava per passione e per quattro anni si fa notare all'Alaves. Spesso nelle partite in casa c'è un fotografo dietro la sua porta. Scoprirà anni dopo che è pagato dal Real Madrid. I blancos lo studiano e lo acquistano nel 1955. Berasaluce diventa il portiere di riserva della squadra più forte d'Europa che si sta avviando a vincere le prime cinque Coppe dei Campioni della storia.
Storie di glorie solo osservate, di domeniche passate a farsi narrare le partite dagli occhi. Storie di tutti i giorni. Storie ferme sulle panchine in attesa di un lieto fine.

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