Non è il record il primo merito di Mancini

Non è il record il primo merito di Mancini© LAPRESSE

La Nazionale ha giocato la prima partita internazionale della sua storia il 15 maggio 1910. In maglia bianca, come ieri sera a Palermo. Mai, prima che il ct ne diventasse Roberto Mancini, era stata capace di vincere 11 partite di fila e nemmeno 10 gare consecutive nelle eliminatorie di un Europeo o di un Mondiale e 10 di fila in un anno solare. La goleada all’Armenia, seconda vittoria più larga in 109 anni di storia, ha sigillato un girone entusiasmante: 37 gol segnati, 4 subiti, una marcia trionfale scandita dalla formula magica del selezionatore che da 64 x 52 (64 giocatori convocati, 52 giocatori impiegati), grazie a Zaniolo è diventata 64 x 54 (Orsolini e Meret, debuttanti n.23 e 24) x 23 (i giocatori a segno dall’inizio della gestione manciniana). Eppure, per quanto prestigioso, non è il record strappato a Vittorio Pozzo il primo merito dell’allenatore. E’ la sua capacità di avere ricostruito una Nazionale altamente competitiva sulle macerie della disfatta venturiana, datata Milano, 13 novembre 2017, quando la Svezia buttò fuori l’Italia dalla corsa al mondiale, alla cui fase finale non avrebbe partecipato per la prima volta in sessant’anni. Sono trascorsi due anni e cinque giorni dall’incubo di San Siro. Sembrano due secoli, tanto questa squadra è cambiata e, i primi a saperlo, sono Bonucci, Jorginho e Immobile, in campo contro gli svedesi. Mancini ha setacciato il nostro calcio come fece Bernardini nel ‘74 dopo il disastro del Mondiale tedesco. Ha rifondato l’Italia con il suo coraggio e con le sue intuizioni. Ha restituito la Nazionale all’amore dei suoi tifosi. Che, si spera, non venga più vilipeso dall’inguardabile maglia verde indossata in ottobre e poi appioppata pure all’Under 21, all’Under 17 e alla Grande Italia delle donne, con l’urticante stemma dopolavoristico esibito persino sulle giacche sociali. Tenga a mente Gravina: la storia non si tocca.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Loading...