Italia, Mancini alle prese con il fronte interno delle strane defezioni

I primi segnali dopo l'Europeo, la crisi con Zaniolo, poi i casi Zaccagni e Lazzari. E quanti infortuni a ogni appuntamento
Italia, Mancini alle prese con il fronte interno delle strane defezioni© EPA

TORINO - Il granello di pietra è diventato valanga pian piano, ma inesorabilmente: al punto a travolgere l’intero movimento con la seconda eliminazione consecutiva dalla fase finale dei Mondiali. Storie completamente diverse l’una dall’altra ma entrambe paradigmatiche di come le dinamiche interne ai gruppi siano fondamentali. La partita è solo la punta di un iceberg alla quale ormai si guarda come un feticcio senza conoscere adeguatamente quello che sta sotto il pelo dell’acqua. E che determina. Del resto è davvero anacronistico tirare in ballo i problemi “di sistema” quando si viene eliminati dalla Macedonia: 64ª nel ranking Uefa ed espressione di una Nazione che ha meno abitanti di Roma (2 milioni rispetto ai2,8 della nostra capitale). E insomma, pur con tutte le defezioni che volete e l’aumento degli stranieri nel nostro campionato, l’Italia deve essere sempre in grado di battere la Macedonia... A meno che qualcosa abbia cominciato da tempo a inceppare il meccanismo perché, come sosteneva Crujff “se i tuoi giocatori sono più forti dei tuoi avversari, vincerei nel 90 per cento delle volte”. E qualcuno può dubitare che gli azzurri lo fossero rispetto ai macedoni? Ecco, ma in quel 10 per cento sta racchiuso un mondo: la gestione, gli uomini, le tattiche. In definitiva il calcio. E il granello che, se non lo fermi in tempo, diventa valanga.

Non era semplice, del resto, uscire dalla magnifica “bolla” del post Europeo, quella in cui il gruppo era affiatato e i giocatori restavano in ritiro anche se infortunati, magari per sostenere i compagni come fece (esempio, non unico) Bonucci il 15 novembre 2020 a Reggio Emilia con la Polonia. Con gli Europei di là da venire e un gruppo che si cementava. Subito dopo il trionfo di Londra, però, i granelli hanno cominciato a rotolare e non appena qualcuno avvertiva un “tiramento” si affrettava ad abbandonare “casa azzurri”, senza nemmeno che gli passasse per la testa di restare con i compagni. A cominciare appunto da quella partita nel settembre appiccicoso di Firenze con la Bulgaria (primo pareggio inquietante...) o peggio pochi giorni dopo, a Reggio Emilia con la Lituania. Vittoria facile, ma pure quella preceduta da addii (Insigne, Immobile, Verratti, Pellegrini) che sollevarono malumori interni dopo il maledetto pareggio in Svizzera in cui l’Italia sbagliò davvero molto. Compreso il primo dei due rigori di Jorginho. Per spiegare quel risultato ci sono scuole di pensiero: la più superficiale si limita agli errori dei singoli; quella un poco più approfondita va alla ricerca delle motivazioni di quegli errori e sostiene che di mezzo ci sia (anche) il tarlo delle deconcentrazione, della perdita di ferocia agonistica conseguenza (inevitabile? Chissà...) dell’appagamento. E se non sei tanto più forte degli altri (e l’Italia non lo è: solo il Belgio sconfitto nella gestione Mancini tra le prime 10 del ranking) allora la valanga cresce... E i giocatori stanno sempre meno comodi in quella che prima era la “comfort zone” azzurra. Il ct cercò di tirare le fila («dobbiamo isolarci, pensare a noi stessi»), ma era tardi e a Coverciano, prima della gara decisiva contro la Svizzera a Roma, continuarono le processioni post vittoria e il diavolo ci mise la coda, infernale, anche all’Olimpico. E l’ambiente è diventato meno glamour: il pervicace desiderio di addio di Zaccagni e Lazzari, a giugno, ha esplicitato il problema e indignato assai il ct. Che ora non fa più sconti: chiedete a Kean e, soprattutto, a Zaniolo...

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