Italia, l'ora di svoltare dopo i fallimenti: tra giovani, futuro e identità calcistica

A partire dalla sfida all'Inghilterra non ci sarà solo il titolo europeo da difendere. Servirà il coraggio di osare, ripartendo dai vivai e dagli italiani di seconda generazione

E, insomma, all'Italia tocca ripartire. Che, sintetizzata così, sembra una condanna e invece è un'opportunità tutt'altro che diffusa nella vita quotidiana, una delle specificità più affascinanti e invidiabili che offre lo sport: la possibilità di redenzione, e perfino a breve termine, dopo un fallimento. Perché, nel caso in cui qualcuno se lo fosse scordato, si ricomincia dopo l'esclusione dal Mondiale del Qatar (giusto un anno fa la caduta contro la Macedonia a Palermo), seconda consecutiva dopo che la Nazionale azzurra era stata eliminata ai playoff anche nell’edizione russa del 2018. E, insomma, 'sta redenzione… L'anomalia, scintillante e nobilitante, sta nel fatto che questi fallimenti Mondiali sono stati inframmezzati dall'impresa dell'Euro vinto a Londra l'11 luglio del 2021: una roba epocale, soprattutto per gli azzurri da sempre refrattari alle imprese nel giardino di casa (l'unico precedente nel 1968).

Mancini, 5 anni dopo

Il tema, casomai, è capire se e come Roberto Mancini riuscirà a uscire dal suo labirinto. Perché questa ripartenza è diversa dalla prima di cui si rese protagonista arrivando alla consacrazione di Wembley con record mondiale di imbattibilità annesso: allora gli toccava mettere riparo ai danni commessi da altri (serve ricordare chi?) e dunque si muoveva su una tabula rasa, poteva sperimentare senza la zavorra dei propri fallimenti, ma con l'ombrello di quelli altrui. E, non a caso, sperimentò molto (l'11 novembre 2018, in Nations League, a Lisbona ne cambiò nove su undici) e pian piano arrivò alla scrematura da cui nacque lo straordinario gruppo che ci portò in cima all'Europa: un mix di esperti e di giovani che elaborò l'evoluzione tattica (quante critiche iniziali da parte dei “senatori” a un sistema di gioco che esponeva alle ripartenze) e che infuse fiducia allo stesso ct che, in quel periodo, ci rassicurava sempre sulla presenza degli italiani: ci sono, basta valorizzarli.

Italia: vivai, diritti tv e Sistema Paese

Forse un eccesso di fiducia considerato che, dopo la fallita qualificazione al Mondiale del Qatar, si è riaperto fragorosamente il dibattito sul mancato impiego dei giovani italiani. In realtà, da quando abbiamo vinto l’Europeo a quando abbiamo perso contro la Macedonia a Palermo, non è cambiato proprio un bel niente: non è stata una vittoria “di sistema” quella di Wembley, non è stata una sconfitta “di sistema” quella di Palermo. I problemi nascono da più lontano: da quando i club (quasi tutti) hanno capito che non valeva la pena investire nei vivai perché tanto i diritti tv garantivano una “sinecura economica” per galleggiare dentro una Serie A dalla quale è quasi impossibile retrocedere: di fronte a una rendita di posizione, perché lavorare sul futuro? E, anche e soprattutto, da un Sistema-Paese (e il calcio ne è sempre lo specchio fedele) che non riesce a mantenere il passo con i mutamenti della società. Nell'Italia, che è tra le nazioni più vecchie e contemporaneamente meno fertili al mondo, è una follia anacronistica la resistenza politico-ideologico agli “italiani di seconda generazione”, vale a dire ai figli degli immigrati che frequentano le nostre scuole, i nostri settori giovanili ma che fino a 18 anni non possono chiedere la cittadinanza. Una miopia culturale perfino oscena perché è attraverso la cultura condivisa e lo sport che si favoriscono l'integrazione e il senso di appartenenza.

Mancini, i club e la prospettiva di quattro anni

Mancini, declinando tutto ciò al calcio, lo sa benissimo e la convocazione di Mateo Retegui è un escamotage con una doppia valenza tecnica e politica. Abbiamo, peraltro, apprezzato molto l'onestà del ct quando ha sostenuto di non aspettarsi nulla dai club poiché ognuno persegue i propri interessi. Non era necessario ricordargli che, quando allenava l'Inter, schierò più volte una squadra di soli stranieri: gli serviva in quel contesto. Sarà invece interessante, appena ve ne sarà l'occasione, districare certe contraddizioni. Perché se “il primo è Pafundi” in omaggio alla valorizzazione dei giovani, allora perché il secondo non è Fagioli che gioca titolare nella Juve di Coppe? E certo, lo sappiamo bene che ci sono gli equilibri politici da mantenere con l'Under 21, ma se la prospettiva è di quattro anni... Perché, attenzione, stasera si riparte solo da certezze neppure troppo giovani: Acerbi e Toloi superano i 30 anni, Jorginho e Verratti il prossimo Mondiale lo vedranno sul divano. Insomma: Mancini è alla ricerca di una nuova strada per l'Eldorado che, come accadde per Magellano, adesso sfiora perfino l'Argentina piena di italiani di quando il “popolo dei barconi” eravamo noi. Sa come ingarbugliare le storie, il dio del calcio.

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