INVIATO A FIRENZE - Si riannoda il filo di una storia azzurra iniziata nel 1993 con l’Under 15 e che ha portato Gianluigi Buffon a diventare l’azzurro più presente di tutti i tempi (176) e da capitano (80) con la Nazionale maggiore frequentata per 24 anni. Campione del mondo nel 2006, è tra i pochi giocatori che hanno partecipato a 5 Mondiali, anche se nel primo, quello del 1998, non è mai sceso in campo: il tedesco Matthaus, il messicano Carbajal e il connazionale Rafa Marquez, poi Leo Messi, Guillermo Ochoa, Andres Guardado e Cristiano Ronaldo. Senza il disastro contro la Svezia nel 2018, Buffon sarebbe potuto diventare l’unico con sei partecipazioni. Invece quella sconfitta a Milano gli impedì il record e al contempo interruppe bruscamente (a parte l’interregno di Di Biagio ct: ultima convocazione il 23 marzo 2018 per l’amichevole a Manchester con l’Argentina) la sua storia in azzurro.
Riconquistare i giovani
Una storia che ora ricomincia nel ruolo di capo delegazione, affidatogli da Gabriele Gravina. Un incarico che Buffon affronta con estrema consapevolezza, del ruolo ma prima di tutto di se stesso: «L’eredità di Vialli? Il suo è un ricordo immenso e bellissimo. Avevamo un rapporto straordinario fuori dal campo, ci scambiavamo ancora le maglie, una condivisione totale. Avere la presunzione di essere da subito al pari suo sarebbe sbagliato, perché ognuno di noi ha il proprio passato e un percorso di maturazione. Ognuno di noi attraversa momenti differenti. Non ne sarei all’altezza e quindi cercherò di essere quello che sono sempre stato. Ai giovani dobbiamo trasmettere la passione ricordando loro la storia del luogo in cui sono. Io sono cresciuto con il mito di Zoff e Rossi dell’82 e con le parole di mio padre che mi raccontava le gesta dei calciatori. Così quando venni a Coverciano per la prima volta e vidi Gigi Riva era come essere al cospetto di un monumento, perché rappresentava il patrimonio passato da mio padre».