Quando si è presentato per la prima volta a Coverciano, molti si chiedevano che valore aggiunto potesse dare alla Nazionale un ragazzo come lui, nato e cresciuto in Argentina, e del tutto estraneo ai ritmi e ai carichi di lavoro del calcio europeo. «Come fa a vestire azzurro se non conosce nemmeno l’Italiano», il commento più gettonato sui social nei giorni che precedevano il suo esordio con la maglia della Nazionale. Rieccoci qua, un anno dopo a tessere le lodi di quello che – piaccia o non piaccia – con ogni probabilità sarà il nostro centravanti nel prossimo Campionato Europeo. Almeno, questo è quanto suggeriscono i numeri: con la doppietta al Venezuela, sono diventati 4 i gol di Retegui nelle ultime 5 partite con la Nazionale.
Retegui come Baggio
Tutto bello, anzi bellissimo, specie se si considera che l’ultimo azzurro a segnare 2 reti negli Stati Uniti è stato Roberto Baggio. Da quelle parti, storie così non fanno che alimentare il dogma dell’American Dream: la convinzione che ciascun uomo, qualunque siano le sue origini, con il duro lavoro possa diventare grande. Chissà che il senso della tournée organizzata da Spalletti non si ispiri proprio a questo. Prima di salire tutti sul carro di Retegui - come solo noi italiani siamo in grado di fare - occorre però spendere una parola nei confronti di chi, prima di tutti, ha creduto in lui: Roberto Mancini. Del resto, se c’è una cosa che va riconosciuta nella sua carriera da allenatore, è di aver visto il talento sempre prima degli altri. È stato così per Balotelli, Barella, Zaniolo, Pafundi, e Gatti. Lo è adesso con il bomber del Genoa, un club che non vedeva un suo giocatore andare in gol due volte con la Nazionale da 96 anni.
Retegui, le sue origini
La sua storia italiana inizia a Canicattì, in Sicilia, la stessa terra da cui gli americani nel 33 sono partiti per liberare il paese dall’occupazione nazista. Proprio da quel porto, nonno Angelino si è imbarcato su una nave diretta in Argentina, per sfuggire alle tragedie del dopoguerra. A San Fernando, in provincia di Buenos Aires, Angelo è tornato a vivere. Sua figlia Maria (mamma di Mateo) in pochi anni diventa campionessa nei mondiali juniores di quello che diverrà, in casa Retegui, lo sport di famiglia: l’hockey su prato. Mateo a 13 anni inizia a giocare a calcio nelle giovanili del River Plate, ma i suoi genitori non sono contenti. Vogliono che il figlio si dedichi solo all’hockey. Tutto cambia qualche anno più tardi quando Diego Mazzilli, allora scout del Boca Juniors, incontra in spiaggia l’amico Carlos Retegui, chiedendogli notizie sul figlio. «Ma Mateo non gioca più a calcio? - chiede Mazzilli - perché se vuole posso organizzargli un provino al Boca». In famiglia si discute e alla fine i genitori cedono. Ancora non sanno che nel giro di pochi mesi Mateo esordirà con la prima squadra del Xeneizes.
I numeri nel campionato argentino
Lo scorso luglio termina i due anni al Tigre con 35 gol in 70 presenze, e vola a Genova per iniziare la preparazione in vista dell’inizio del campionato, senza prendersi un solo giorno di vacanza. Di qui si spiegano i diversi stop che lo hanno tenuto lontano dal campo negli ultimi mesi. La nuova Italia di Luciano Spalletti, visti i pochi mesi a disposizione per preparare l’Europeo e dopo due delusioni mondiali, non ha lo status o la credibilità per dominare ogni partita. Vuole vincere, non importa come, per rincominciare a respirare, a costruire, passo dopo passo con la cultura del lavoro che Spalletti più volte, in carriera, ha dimostrato di saper trasferire. Retegui è il simbolo di questo nuovo gruppo. Magari non sarà il numero 9 che sognavamo per la nostra Nazionale, ma è quello di cui abbiamo disperato bisogno in questo momento.