Sospeso, tra le nebbie di un passato che non gli appartiene e il clamore di un presente che lo abbraccia con affetto. Sa bene che per quanto possa sforzarsi, in fondo, non può dirsi davvero padrone del suo destino. Eppure riesce a celare bene - anzi benissimo - questi suoi dubbi esistenziali. Kolo Muani a Torino ha trovato la sua alba più vera, dopo mesi vissuti quasi da “brutto anatroccolo” in un Psg che l’ha fortemente voluto - prima - e scaricato - subito dopo. Lì, si era smarrito in un mare magnum di rotazioni infinite e silenzi punitivi. La Juve ha risvegliato in lui quella spensieratezza che era solito respirare nei diroccati campetti della periferia di Villepinte. Il primo palcoscenico della sua carriera.
I bianconeri hanno creduto subito in lui, affidandogli le chiavi di un attacco che Dusan Vlahovic non è mai riuscito ad accendere davvero. Contro il Wydad, ben accorto nel triplicargli la marcatura vista la doppietta della gara d’esordio, si è comportato come i più navigati bomber del vecchio continente, aiutando Yildiz a prendersi la scena nel segno del più classico dei “se non puoi segnare, fa in modo che siano gli altri a farlo per te”.
