Messi, il messia del futbol

Il 18 dicembre 2022 Lionel Andrés Messi Cuccittini ha chiuso finalmente il cerchio conquistando la Coppa del Mondo. Da ieri la partita simbolo del Mondiale è Argentina-Francia 3-3, che entra a pieno diritto nell’epica futbolistica, mandando in soffitta, dopo ere geologiche, Italia-Germania 4-3 del Mundial di Mexico 1970

Il 18 dicembre del 2022, oppure se preferite il 18 dicembre del 62 DD, Dopo Diego, Lionel Andrés Messi Cuccittini ha chiuso finalmente il cerchio. Sarà forse che venire costantemente paragonato, per oltre 15 anni, a Maradona, il miglior giocatore della storia del gioco, può risultare stancante anche per uno come Lio, abituato, fin dall’infanzia più tenera, a gambetear, a dover dribblare gli scherzi della vita, le critiche, i dubbi. Altrui. Da ieri la domanda fin troppo a lungo ricorrente: «Meglio La Pulga o meglio El Diegote?» è derubricata a quella che, a Buenos Aires e dintorni, definirebbero “boludez”, una totale idiozia. Da ieri Lio Messi ha contribuito, ancora una volta, a riscrivere il calcio e la sua storia. Da ieri la partita simbolo del Mondiale è Argentina-Francia 3-3, che entra a pieno diritto nell’epica futbolistica, mandando in soffitta, dopo ere geologiche, Italia-Germania 4-3 del Mundial di Mexico 1970. Da ieri l’assist del secolo è sicuramente il no-look contro l’Olanda che ha mandato in gol El Galgo Nahuel Molina. Sul fatto che Messi sia il più forte in attività, invece, non ci sono mai stati dubbi. Da ieri, però, dal 18 dicembre 2022 o se preferite dal 18 dicembre DD, Dopo Diego, ci saranno molti meno insipienti a criticarlo senza motivo. «Mi mancava questo trofeo: eccovelo!. Era il mio piccolo sogno, anzi è il grande sogno di chiunque. Sono fortunato ad averlo qui tra le mie mani, sono un privilegiato. E’ assurdo: ho desiderato questa Coppa per tantissimo tempo: ora la stringo e posso garantirvi che è bellissima e pesa un sacco! Sentivo che Dio mi avrebbe aiutato a conquistarla, avvertivo che questa volta sarebbe stata quella buona. Abbiamo sofferto come dei pazzi, ma ce l’abbiamo fatta. Adesso credetemi, non vedo l’ora di atterrare in Argentina, non voglio nemmeno immaginare come sarà. Una locura, una splendida follia, questo è sicuro. Volevo chiudere la mia carriera con una notte così e ora non posso più chiedere nulla, grazie a Dio ho conquistato la Copa América e adesso anche il Mondiale. Adoro il Fútbol, il mio lavoro. Amo stare con la Nazionale, il gruppo dell’Albiceleste, ora voglio godermi qualche partita con la Selección da campione del mondo».

Un genio assoluto. Ma anche un bulimico di vittorie, un collezionista di trofei, un accantonatore seriale di record: 26 gare ai Mondiali, mai nessuno come lui; superato Paolo Maldini come minuti giocati in una Coppa del mondo; 698 gol in carriera, 37 titoli conquistati con i club e 4 con la Selección. Vi sembra poco? Beh, allora aggiungeteci pure 7 Palloni d’oro e 6 Scarpa d’oro. Il resto è mancia, tenetevelo pure.

S’è levato questa enorme scimmia dalla spalla Lio Messi in questo 18 dicembre del 2022, quella che lo perseguitava dal 2014, quando fu costretto a veder festeggiare gli altri, la Germania. E non poteva essere altrimenti, non poteva proprio finire in un altro modo che non fosse il trionfo. Per mille e un motivo: intanto perché sarebbe stato un peccato mortale che il mondo del calcio non vedesse festeggiare il successo mondiale di un giocatore così speciale, di uno che è «Maradona ogni giorno», per usare un’espressione di Jorge Valdano, un altro argentino campione del mondo, uno che con il Diegote del calcio ha giocato e vinto. E poi perché non poteva fallire, osservato com’era dalla tribuna dell’Iconic Stadium di Lusail da due mostri sacri dell’Albiceleste, Mario Alberto Kempes, campione del mondo nel 1978, e Jorge Luis Burruchaga, trionfatore in Messico nel 1986. Non poteva fallire, Lionel Messi che, dalla Copa América del 2019 ha iniziato un processo di maradonizzazione lento ma assolutamente inarrestabile, sublimato nella frase post Olanda che è diventata tutto: meme, magliette e persino una stampa sul retro di jeans femminili, quel “que miràs, bobo, andà pa allà, bobo”, una risposta a tutti quelli che, per anni, l’hanno accusato di essere un pecho frìio, un senza palle, uno bravo ma a cui manca la leadership. E la frase, anche in questo caso, finiva sempre con un «... mica come Diego!». Ora che, sotto lo sguardo celeste di Maradona, colui che lo lanciò in Nazionale, è leader totale, anima albiceleste e campione del mondo, il cerchio s’è finalmente chiuso. E gli insipienti, finalmente, sono costretti al silenzio. Al silenzio e agli applausi. Scroscianti.

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