Da Sarri a Conte e Maran: addio giochisti

Da Sarri a Conte e Maran: addio giochisti© www.imagephotoagency.it

Il calcio, si sa, è fatto di mode, di momenti, di situazioni e condizioni che scambiamo per verità assolute. Lo scorso anno si è chiuso con una paradossale disputa tra quelli che prediligono il gioco, che fanno spettacolo, e quelli che invece pensano al risultato. Una discussione per certi versi assurda, con il ricorso al manuale del bravo allenatore. E la divisione tra i profeti del nuovo calcio - pronti a darsi la mano - e i custodi delle tradizioni, prigionieri di una mentalità antica, superata. Insomma, una contrapposizione totale, di cui però - ci avete fatto caso? - non parla più nessuno. Perché il calcio è molto più semplice di come viene raccontato e le uniche regole che contano - anche nel pallone - restano la sensibilità e l’intelligenza. La sensibilità nell’ascoltare il vento, nel percepire l’aria che tira, e l’intelligenza nel saper cogliere appunto le situazioni.

La serie A, che secondo alcuni predicatori dell’estetica, doveva essere invasa dal nuovo calcio, è invece più che mai un esercizio di realismo. A cui, con l’intelligenza e la sensibilità di cui dicevamo, si è per primo iscritto Maurizio Sarri. L’uomo che per alcuni sarebbe dovuto essere il paladino di un calcio fantascientifico, ha invece capito e immaginato prima di tutti di non poter essere così innamorato di se stesso e delle sue teorie da poter anteporre appunto se stesso alle necessità della squadra. Così i 32 punti su 36 in campionato, e la qualificazione Champions raggiunta con due turni d’anticipo, sono soprattutto il frutto - con buona pace di chi credeva di aver trovato in lui un emblema della rivoluzione - della sua duttilità, della sua velocità di pensiero, della capacità di adattare i moduli agli uomini e la sua filosofia di gioco alle caratteristiche dei giocatori. Magari verrà il tempo di cambiare, ma è un atto di coraggio aver capito che non è ancora il tempo. E’ così che si è consumato il paradosso dell’ultima domenica: dicevano che il suo calcio, il calcio di Sarri, era stato scelto per consentire a Ronaldo di divertirsi di più. E’ successo invece che, di fronte alla necessità di portare a casa il risultato, anche il campione portoghese - mai successo con Allegri - sia stato invece sostituito.

Di Sarri, insomma, oggi applaudiamo i risultati e la freddezza nel capire qual è la strada giusta per arrivare al risultato. Così come dell’Inter e di Conte - e pazienza se qualcuno immaginava una serie A di calcio spaziale - ammiriamo il carattere, il furore, la determinazione. Nel primo caso - quello della sensibilità di Sarri - e nel secondo, il carattere di Conte, sembra in fondo di rivedere Allegri, con le sue doti indiscutibili.

Ma questa è anche la serie A di Inzaghi, che esalta i suoi giocatori di grande qualità, ma poi è sempre alla ricerca di una difesa ben fornita. Di Fonseca, che è arrivato a Roma con l’etichetta dell’assaltatore - sarà per quella maschera di Zorro - ma poi si è «italianizzato» in fretta, pensando a come trovare l’equilibrio, ricordandosi che - se non prendi gol - nell’ipotesi peggiore finisci per pareggiare. E’ anche la serie A in cui si parla molto meno di De Zerbi, che è comunque un giovane di grandi qualità, ma si parla molto più di Maran, che nella sua carriera ha sempre fatto molto bene, con una filosofia chiarissima: cercare, sempre e ferocemente, l’equilibrio. Una condotta chiara, che lo sta meritatamente ripagando.

E’ anche la serie A in cui, per ora, e non solo per le loro responsabilità, hanno pagato due «giochisti» come Giampaolo e Di Francesco. Sostituiti però da due normalizzatori, come Pioli e Ranieri. Già, due normalizzatori. Perchè il calcio non è una scienza, da spiegare con chissà quali paroloni, ma lo specchio della vita. Dove contano, come si diceva, sensibilità, intelligenza ed equilibrio. E non è un caso che il migliore, oggi, sia forse Klopp, che ha scelto per se stesso un soprannome azzeccassimo: il «Normal One». Perchè il suo calcio, è vero, predilige il pressing alto. Ma poi va dritto in verticale, che se ci pensi è l’esaltazione estrema della semplicità.

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