Perché la politica non vuole che la serie A riparta

La battaglia di Gravina contro le manovre dei politici anti-calcio. Au aut della Figc al Governo: Ora diteci che cosa dobbiamo fare per ripartire. Ma basta con i rinvii
Perché la politica non vuole che la serie A riparta© Inter via Getty Images

Non so se, ieri, abbiate seguito l’informativa urgente del Presidente del Consiglio al Parlamento né tantomeno questa è la sede per disquisire sui contenuti delle comunicazioni in materia di incipiente Fase 2 nell’emergenza Coronavirus. A noi, qui, interessa rilevare come il massimo rappresentante dell’esecutivo, ancora una volta abbia dribblato i problemi del calcio, considerato una fra le aziende più importanti del nostro Paese al cui prodotto interno lordo contribuisce nella misura dell’1 per cento; al cui Erario versa ogni anno 1.250 milioni di euro in tasse e contributi; ai cui livelli occupazionali garantisce 300 mila posti di lavoro nell’indotto; registrando tuttora 4,6 milioni di praticanti (1,4 milioni tesserati alla Figc), 570 mila partite ufficiali (il 99 per cento a livello dilettantistico e giovanile). Eppure. Eppure il premier ha citato Platone e Aristotele rimarcando la differenza fra le opinioni e le tesi scientifiche, ma sull’orientamento del Governo circa la ripartenza della Serie A, Conte Giuseppe ha fatto un catenaccio che certo non sarebbe piaciuto a Conte Antonio.

Conte Giuseppe ha la memoria lunga e non vuole più essere smentito dal suo ministro Vincenzo Spadafora. Ricordate il fatidico 8 marzo? Alle 3.26 del mattino, il capo del governo firma uno dei suoi molti decreti e autorizza le partite a porte chiuse. Alle 12.25, dopo un vorticoso giro di tweet e telefonate, Spadafora lo spiazza, chiede e ottiene il rinvio prima di 45 minuti, poi di un’ora e un quarto della partita Parma-Spal che, però, alla fine si gioca regolarmente, così come in serata Juve-Inter. E ricordate ciò che è avvenuto domenica scorsa? Alle 20.25, in diretta tv a reti unificate, Conte annuncia che dal 18 maggio le squadre potranno riprendere gli allenamenti collettivi. Novanta minuti dopo, sempre in diretta tv, stavolta Fazio anfitrione, Spadafora scavalca a destra e a sinistra il premier gelando la Serie A. Per non dire dei giorni successivi, scanditi dalla battaglia mediatica, con Gravina e Dal Pino da una parte, Spadafora dall’altra. Il ministro senza portafoglio con delega allo sport e alle politiche giovanili fa un passo avanti e due indietro, mentre il collega Boccia, ministro per gli affari regionali, afferma: «La parte del decreto sugli allenamenti individuali va precisata». Per sovrammercato, il presidente della Federnuoto, Paolo Barelli, scopre che nell’ultimo decreto di Conte non c’è una riga che sancisca la riapertura dei centri sportivi per il 18 maggio.

La confusione della politica è totale e il calcio ha le tasche piene. La sortita del presidente della Figc («Lo sport è la morte del calcio, non la firmerò mai. Che la decreti il Governo») e la lettera del presidente della Lega, di cui Stefano Salandin ha dato conto su queste colonne, hanno ricacciato Spadafora in difesa. Nei prossimi giorni, la Figc incontrerà il Comitato Tecnico-Scientifico (CTS), chiamato ad esprimersi finalmente sul protocollo sanitario presentato da Gravina e dai suoi consulenti, un passaggio decisivo per capire che cosa farà il governo. Al quale il calcio chiede di decidere una volta per tutte. Anche se una spiegazione di questa melina, fra i club di A si fa strada. Come anche le burrascose cronache parlamentari di ieri hanno confermato, il Conte Bis si regge sui fragili equilibri dettati dall’Emergenza Virus. Il calcio che riparte, pur fra mille lacci e lacciuoli, darebbe un vistoso, plateale segnale di ritorno verso la normalità. Può permetterselo Conte (Giuseppe)?

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