© LaPresseROMA - La montagna che partorisce il topolino. E sullo sfondo (forse) un tentativo, neanche troppo mascherato, di escludere per sempre l’onnipresente Claudio Lotito dagli scranni della politica sportiva che conta. E chissà se non era proprio questo l’intento (afflittivo, per carità) del pm federale Giuseppe Chinè, quando nell’argomentare il deferimento dei biancocelesti per i presunti illeciti relativi al protocollo Covid, ha chiesto ieri mattina ben 13 mesi e 10 giorni di inibizione al patron (comunque potevano bastarne “solo” 10: Lotito era già stato inibito, infatti, per 2 mesi nel 2012. Con oltre 12 mesi complessivi di inibizioni, sarebbe stato escluso da cariche in Lega). Comunque sia, i mesi chiesti da Chiné lo avrebbero fatto decadere a vita (in caso di conferma della condanna anche nei successivi 2 gradi di giudizio sportivo) dalla carica di consigliere federale nella Lega di Serie A. Ma anche qui, la montagna si è presto sgonfiata a piccolo dosso quando nel primo pomeriggio il Tribunale federale nazionale presieduto da Cesare Mastrocola ha ridotto a 7 mesi l’inibizione al patron, mentre per i due medici deferiti Ivo Pulcini e Fabio Rodia da 16 si è passati a 12 mesi. Se la cava invece, a prescindere, con un triplo “fiuuuuuu” la Lazio (quella di Simone Inzaghi), dando seguito all’azzeccatissimo neologismo di allegriana memoria. Semplice multa di 150 mila euro (200 mila era la richiesta del procuratore) per il club, che così non si vede per niente intaccare una classifica che ora potrebbe rilanciarla anche nella lotta Champions. Del resto, è lo stesso avvocato della Lazio Gian Michele Gentile, a fine processo (durato circa un’ora e mezzo, tutto in videoconferenza), ad ammettere che «poteva andar peggio, sono soddisfatto per la Lazio perché abbiamo evitato sanzioni più severe che erano nell’aria».