Napoli-Juventus, l’ultima di Agnelli presidente a casa di De Laurentiis

Con il rivale-alleato storico sfide in campo e di mercato, ma unità di visioni politiche. Spesso in Lega di Serie A i due numeri uno hanno condiviso strategie e intenti per rilanciare il nostro calcio

TORINO - Tanto sportivamente quanto politicamente è tutt’altro che banale l’incastro in conseguenza del quale la sfida contro il Napoli coincide anche con la partita che metterà “fattualmente” termine all’era juventina di Andrea Agnelli. Dal punto di vista simbolico giusto qualche giorno dopo, il 18 gennaio, verrà convocato e ratificato il nuovo Cda che porrà fine, anche formalmente, alla sua presidenza. Dal punto di vista sportivo perché proprio il Napoli è stato l’avversario più irriducibile, tenace e in definitiva pericoloso nei 13 anni della sua presidenza. Politicamente, infine, perché tra lo stesso Agnelli e Aurelio De Laurentiis c’è stata spesso una condivisione di intenti e di strategie nelle dinamiche interne alla Lega di Serie A, tanto che non è azzardato sostenere come siano stati contemporaneamente avversari sul campo (spesso) alleati in politica.

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Fin dal 2013 fu quasi naturale cercare un’alleanza che potesse contrapporsi al duopolio Galliani-Lotito: diversi nello stile e nell’eloquio, i leader di Juventus e Napoli hanno sempre trovato un terreno di confronto comune sulla gestione amministrativa ed economica tesa alla maggiore valorizzazione possibile del “prodotto calcio”. De Laurentiis, del resto, è abituato a frequentare il mercato statunitense per le ovvie ragioni legate al business cinematografico e vorrebbe riportare questa visione anche nel calcio. A cominciare appunto dalla gestione dei campionati con una dinamica che si colloca a metà strada verso la Superlega: «Sono stato tra i primi a telefonare ad Andrea Agnelli per dirgli che stava sbagliando, dico no alla Superlega ma non credo neanche a questa Champions League, a cui sono costretto a partecipare per ragioni di fatturato. Serve più rispetto per i campionati nazionali, per me sarebbe opportuno a livello internazionale fare un campionato europeo. La Superlega è figlia del fatto che le organizzazioni del calcio, le istituzioni, pensano di fare loro gli istituzionalisti con i soldi nostri, con i nostri investimenti». Insomma, non c’è poi tutta sta distanza, soprattutto alla luce delle recenti variazioni di progetti superleghisti. La “liason programmatica” tra i dirigenti ha raggiunto il picco in occasione della Super Coppa a Doha all’insegna di un fair play con tanto di abbraccio e frase finale “abbiamo vinto insieme”.

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Una sintonia che resiste, al punto che Agnelli - divenuto presidente Eca - coopta il collega nel gruppo di lavoro con l’incarico di Capo settore marketing e comunicazione, presentando il collega con parole lusinghiere: «Per sfruttare la sua esperienza nel mondo del marketing e le sue intuizioni che in passato si sono rivelate vincenti sia in campo cinematografico sia calcistico». Poi, pian piano, si è aperta qualche crepa e le visioni sul futuro della governance del calcio italiano si sono divaricate. Soprattutto in relazione al possibile ingresso di nuovi partner in Lega: alle aperture di De Laurentiis verso Advent-Fsi e Cvc ha fatto da contraltare la contrarietà di Agnelli (nell’occasione si è trovato a condividere una “innaturale” alleanza con Lotito) che liquida la questione con toni bruschi: «Se in Lega fossimo normodotati, non avremmo bisogno di terzi per sviluppare il nostro business». La vicenda Superlega e la pandemia (con le feroci polemiche di contorno sull’uso dei tamponi con il rinvio di Juventus-Napoli) diradano molto le frequentazioni e mandano in primo piano soprattutto le vicende di campo. Per loro stessa natura divisive. Ancor di più dopo gli scudetti vinti dalla Juventus sempre in corsa con il Napoli e dopo il blitz di mercato che ha portato Higuain in bianconero pagando per intero la clausola di 90 milioni: il simbolo, per i napoletani, della protervia bianconera. Difficile, in un clima del genere, trovare ancora punti d’accordo per i dirigenti. Anche se, in occasione della bufera mediatico-giudiziaria che ha recentemente coinvolto la Juventus, De Laurentiis ha evitato di maramaldeggiare («del caso si occupano i magistrati») e, anzi, ne ha approfittato per ribadire la sua contrarietà alla gestione del sistema: «Ho già detto che il calcio è malato dall’alto». I vari entourage confermano che i rapporti personali tra i due restano buoni e, al netto dell’enorme gioia che una eventuale vittoria della scudetto gli porterebbe, c’è chi sostiene che a De Laurenitis dispiaccia non poter concludere questo percorso contro il suo più fiero avversario di quest’ultimo decennio calcistico.

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TORINO - Tanto sportivamente quanto politicamente è tutt’altro che banale l’incastro in conseguenza del quale la sfida contro il Napoli coincide anche con la partita che metterà “fattualmente” termine all’era juventina di Andrea Agnelli. Dal punto di vista simbolico giusto qualche giorno dopo, il 18 gennaio, verrà convocato e ratificato il nuovo Cda che porrà fine, anche formalmente, alla sua presidenza. Dal punto di vista sportivo perché proprio il Napoli è stato l’avversario più irriducibile, tenace e in definitiva pericoloso nei 13 anni della sua presidenza. Politicamente, infine, perché tra lo stesso Agnelli e Aurelio De Laurentiis c’è stata spesso una condivisione di intenti e di strategie nelle dinamiche interne alla Lega di Serie A, tanto che non è azzardato sostenere come siano stati contemporaneamente avversari sul campo (spesso) alleati in politica.

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