TORINO - Negli ultimi anni l’incidenza delle plusvalenze sui bilanci delle società italiane ha (ri)toccato gli apici affrescati durante la “bolla”. Un gergo che, tra gli addetti ai lavori, richiama il periodo storico che intercorre, grossomodo, tra il 1998 e il 2002. Tanto per rendere l’idea: nella stagione del Mondiale in Francia i club di Serie A avevano rendicontato circa 200 milioni di plusvalenze nette da cessione di giocatori, in quella dell’appuntamento iridato in Corea del Sud e Giappone la cifra era cresciuta fino a 798 milioni. Un andamento a dir poco sospetto, a maggior ragione nel contesto di una crisi senza precedenti che avrebbe portato al fallimento della Fiorentina di Cecchi Gori e a un massiccio e generale ricorso al decreto “salva-calcio” del Governo Berlusconi per spalmare i debiti contratti in fase di compravendita dei calciatori. Ma i tempi per un intervento della giustizia, che si trattasse di quella ordinaria o di quella sportiva, non erano ancora maturi.
