Plusvalenze story, 2ª puntata: 1998-2002, gli anni d’oro della “bolla"

Che scalpore per lo scambio tra Roma e Parma nel 2001: super valutazioni per Longo e Gurenko. Crespo alla Lazio per 110 miliardi, ma Almeyda e Conceiçao ne valgono 80: esborso minimo
Plusvalenze story, 2ª puntata: 1998-2002, gli anni d’oro della “bolla"

TORINO - Negli ultimi anni l’incidenza delle plusvalenze sui bilanci delle società italiane ha (ri)toccato gli apici affrescati durante la “bolla”. Un gergo che, tra gli addetti ai lavori, richiama il periodo storico che intercorre, grossomodo, tra il 1998 e il 2002. Tanto per rendere l’idea: nella stagione del Mondiale in Francia i club di Serie A avevano rendicontato circa 200 milioni di plusvalenze nette da cessione di giocatori, in quella dell’appuntamento iridato in Corea del Sud e Giappone la cifra era cresciuta fino a 798 milioni. Un andamento a dir poco sospetto, a maggior ragione nel contesto di una crisi senza precedenti che avrebbe portato al fallimento della Fiorentina di Cecchi Gori e a un massiccio e generale ricorso al decreto “salva-calcio” del Governo Berlusconi per spalmare i debiti contratti in fase di compravendita dei calciatori. Ma i tempi per un intervento della giustizia, che si trattasse di quella ordinaria o di quella sportiva, non erano ancora maturi.

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La "via lattea"

Durante la “bolla delle plusvalenze”, così, prendono forma alcune delle operazioni più discusse degli ultimi trent’anni di calciomercato. E un asse, in particolare, si rivela piuttosto prolifico: quello che unisce Sergio Cragnotti e Calisto Tanzi, ai tempi rispettivamente ai vertici della Lazio e del Parma, personaggi già affini a livello di mercato caseario al punto da essere ribattezzati da più parti come “fratelli di latte”. Nell’estate del 2000, per esempio, i biancocelesti neo campioni d’Italia accolgono dai ducali Hernan Crespo a fronte di un trasferimento record da 110 miliardi delle allora lire, anche se il passaggio di denaro contante è sensibilmente minore: nella trattativa, infatti, vengono inseriti anche i cartellini di Matias Almeyda e Sergio Conceiçao, che compiono il percorso opposto con una valutazione di 80 miliardi complessivi. Le due piazze, negli anni precedenti, si erano “passate” anche i vari Juan Sebastian Veron, Nestor Sensini e Dino Baggio, arrivando nel 2001 a tracciare una rotta battuta perfino dal dirigente Luca Baraldi, migrato dal CdA del Parma per planare sulla poltrona di amministratore delegato della Lazio.

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Scambio triplo

Ma sono tanti gli scambi che, in quel periodo, finiscono sotto la lente d’ingrandimento, almeno quella del buon senso. Nella sessione estiva del 2001, infatti, lo stesso Parma e la Roma orchestrano un triplo scambio che desta perplessità, con grandi cifre a bilancio e modesti profili come protagonisti. Nella capitale, per ben 65 miliardi di lire, sbarcano Raffaele Longo, Saliou Lassissi e Diego Fuser: il primo viene subito “parcheggiato” in prestito al Palermo in Serie B, il secondo non esordisce nemmeno a causa di un grave infortunio, il terzo colleziona appena 15 presenze nei successivi due campionati. Viaggio opposto per Sergei Gurenko, Amedeo Mangone e Paolo Poggi, a fronte di un valore totale di 60 miliardi che consente così un movimento di contanti di appena 5 miliardi: il primo disputa tre partite in due anni, il secondo solamente una, il terzo viene subito spedito in prestito al Piacenza. Qualcosa non torna, insomma, in questo caso come in molti altri.

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Che valutazioni

Sono infatti gli anni di Jonathan Bachini valutato 35 miliardi nel contesto dell’operazione che porta Gigi Buffon dal Parma alla Juventus. Gli stessi di Matteo Ferrari ceduto “a rate” dall’Inter: il difensore frutta una ricca plusvalenza nel suo passaggio ancora ai ducali, prima che i nerazzurri ne rilevino nuovamente la comproprietà e generino una seconda operazione favorevole per i propri bilanci attraverso un’ulteriore cessione ai gialloblù. E gli stessi dei fitti scambi proprio tra l’Inter e il Milan, operazioni che soltanto un lustro più tardi saranno oggetto di verifiche da parte della Procura di Milano: nel 2001, per esempio, Pirlo, Brocchi e Domoraud passano in rossonero con Guglielminpietro, Brncic e Helveg in nerazzurro, scenario che si ripete nel 2002 con protagonisti Simic e Seedorf da una parte e Umit e Coco dall’altra. Ordinaria amministrazione ai tempi della “bolla delle plusvalenze”.

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TORINO - Negli ultimi anni l’incidenza delle plusvalenze sui bilanci delle società italiane ha (ri)toccato gli apici affrescati durante la “bolla”. Un gergo che, tra gli addetti ai lavori, richiama il periodo storico che intercorre, grossomodo, tra il 1998 e il 2002. Tanto per rendere l’idea: nella stagione del Mondiale in Francia i club di Serie A avevano rendicontato circa 200 milioni di plusvalenze nette da cessione di giocatori, in quella dell’appuntamento iridato in Corea del Sud e Giappone la cifra era cresciuta fino a 798 milioni. Un andamento a dir poco sospetto, a maggior ragione nel contesto di una crisi senza precedenti che avrebbe portato al fallimento della Fiorentina di Cecchi Gori e a un massiccio e generale ricorso al decreto “salva-calcio” del Governo Berlusconi per spalmare i debiti contratti in fase di compravendita dei calciatori. Ma i tempi per un intervento della giustizia, che si trattasse di quella ordinaria o di quella sportiva, non erano ancora maturi.

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