Serie A, oltre Di Bello: gli arbitri sbagliano ma nessuno li aiuta

In primo luogo dai giocatori, bravissimi a far passare per interventi spezzacarriere normali contrasti di gioco e altrettanto bravissimi a buttare in caciara i match con proteste infondate
Serie A, oltre Di Bello: gli arbitri sbagliano ma nessuno li aiuta© BARTOLETTI

Una premessa. È pacifico che venerdì sera Marco Di Bello abbia dato vita a una direzione di gara deficitaria: lui e tutti quelli - e sono tanti - che avrebbero dovuto aiutarlo a evitare errori di gestione durante Lazio-Milan. Un arbitraggio che conferma l’impressione di una fase di stallo della categoria, in cui l’autoritarismo è privilegiato rispetto alla congruità delle scelte tecniche. Detto questo, un dato è innegabile: gli arbitri non sono aiutati. Non sono aiutati in primo luogo dai giocatori, bravissimi a far passare per interventi spezzacarriere normali contrasti di gioco (osservate come si rialza sano, se non arriva il fischio del direttore di gara, chi poco prima si stava platealmente rotolando sul campo) e altrettanto bravissimi a buttare in caciara i match con proteste infondate fin dai primi minuti. In questo sorretti da staff tecnici cui regolarmente - e inutilmente - vengono sventolati cartellini per cercare di riportare alla calma. Questo si è visto in Lazio-Milan, questo si vede fin dalla prima giornata di campionato, coinvolgendo tutti: dalle big alle ultime della classifica.

E, in secondo luogo, non sono aiutati da chi sta intorno. I loro stessi dirigenti, per anni apparsi più impegnati nelle corse elettorali che nella costruzione di un gruppo solido in cui, agli esperti che tanti apprezzavano per il mondo, facessero seguito nuove leve all’altezza. Poi i dirigenti del calcio, quelli che tuonano contro il sistema a seconda dei risultati delle proprie squadre. Al netto delle continue dichiarazioni di Aurelio De Laurentiis (ultimo obiettivo: la Juventus) per deviare lo sguardo dalla disastrosa gestione post-scudetto, è stato educativo ascoltare l’altra sera Claudio Lotito scagliarsi contro le storture di un mondo di cui, come detto da lui medesimo, fa parte da vent’anni come presidente della Lazio. Quando li festeggerà il 20 luglio, saranno - al netto degli anni bisestili - 7.300 giorni alla guida del club e da protagonista del calcio italiano, in Lega come in Federazione: c’è voluta una serata storta di Di Bello per capire che qualcosa non va?
Infine la coda degli immancabili social, con le minacce violente e volgari nei confronti di Christian Pulisic. Non chiamateli leoni da tastiera, troppo facile cavarsela così. Qui c’è del disagio umano vero, di cui siamo responsabili tutti. Perché tale disagio trova un formidabile terreno di coltura negli atteggiamenti irresponsabili e nelle parole in libertà dei protagonisti. Non si deve pensare che non abbiano conseguenze.

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