Campione del mondo con l’Italia nel 2006, vincitore della Champions League nel 1996 con la Juventus e uno tra i portieri più forti della storia del nostro calcio: Angelo Peruzzi si racconta e sono tanti i temi da affrontare. Si pate dalla Lazio, club con il quale ha chiuso la carriera e dove ha lavorato di recente come dirigente: "La Lazio attuale sta andando alla grande perché i calciatori hanno voglia di stare insieme. Se compri giocatori forti che poi giocano per se stessi, non farai mai bene coralmente. Il calciatore è l’egoista per antonomasia, ma se riesci a farlo appassionare, è la svolta. Io ho giocato con Baroni alla Roma quando avevo 17 anni, lui è una persona rara in un calcio in cui ormai c’è davvero tanto cinema. Una persona seria, capace, determinata. Nel calcio non servono scienziati".
Peruzzi e l'impostazione dal basso
Sul calcio moderno e il ruolo del portiere che si è trasformato con l'impostazione dal basso, Peruzzi la pensa così: "Non mi è mai piaciuta, perché ero scarso coi piedi. Sono stato responsabile dei portieri in Nazionale, il coordinatore era Arrigo Sarri, che mi costrinse a prevedere una serie infinita di esercizi per i portieri con i piedi. Lo provocai, dicendo che a quel punto avremmo potuto mettere Pirlo in porta. A mio avviso il portiere deve prima di tutto parare, poi se è forte con i piedi è un plusvalore. A 17 anni giocavo nella Roma con Baroni, l’allenatore era Liedholm, che mi costringeva, quando attaccavamo, a rimanere fuori dall’area, perché dovevo mantenere una certa distanza con i difensori. Negli anni ottanta i portieri non si allenavano coi piedi, ma già c’era l’idea che il portiere potesse essere anche un giocatore in più di movimento. Ai miei tempi Van Der Sar era il numero uno, oggi c’è Ederson del Manchester City".