Peruzzi: “Dalla Juve all’Inter, ho sofferto tantissimo”. Poi si emoziona

Il leggendario portiere ripercorre la sua carriera, svelando aneddoti e curiosità: “Gli attaccanti che mi hanno messo in crisi? Né Maradona né Ronaldo"
Peruzzi: “Dalla Juve all’Inter, ho sofferto tantissimo”. Poi si emoziona© YouTube

Campione del mondo con l’Italia nel 2006, vincitore della Champions League nel 1996 con la Juventus e uno tra i portieri più forti della storia del nostro calcio: Angelo Peruzzi si racconta e sono tanti i temi da affrontare. Si pate dalla Lazio, club con il quale ha chiuso la carriera e dove ha lavorato di recente come dirigente: "La Lazio attuale sta andando alla grande perché i calciatori hanno voglia di stare insieme. Se compri giocatori forti che poi giocano per se stessi, non farai mai bene coralmente. Il calciatore è l’egoista per antonomasia, ma se riesci a farlo appassionare, è la svolta. Io ho giocato con Baroni alla Roma quando avevo 17 anni, lui è una persona rara in un calcio in cui ormai c’è davvero tanto cinema. Una persona seria, capace, determinata. Nel calcio non servono scienziati".

Peruzzi e l'impostazione dal basso

Sul calcio moderno e il ruolo del portiere che si è trasformato con l'impostazione dal basso, Peruzzi la pensa così: "Non mi è mai piaciuta, perché ero scarso coi piedi. Sono stato responsabile dei portieri in Nazionale, il coordinatore era Arrigo Sarri, che mi costrinse a prevedere una serie infinita di esercizi per i portieri con i piedi. Lo provocai, dicendo che a quel punto avremmo potuto mettere Pirlo in porta. A mio avviso il portiere deve prima di tutto parare, poi se è forte con i piedi è un plusvalore. A 17 anni giocavo nella Roma con Baroni, l’allenatore era Liedholm, che mi costringeva, quando attaccavamo, a rimanere fuori dall’area, perché dovevo mantenere una certa distanza con i difensori. Negli anni ottanta i portieri non si allenavano coi piedi, ma già c’era l’idea che il portiere potesse essere anche un giocatore in più di movimento. Ai miei tempi Van Der Sar era il numero uno, oggi c’è Ederson del Manchester City".

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Peruzzi, il ricordo di Mihajlovic

Quando si apre il capitolo legato all’ex compagno di squadra Mihajlovic, Peruzzi non riesce a trattenere l’emozione, e racconta una storia molto divertente: "Faccio fatica. Sinisa non aveva paura di niente, salvi i serpenti. Una volta, per fargli uno scherzo, presi una vipera morta e la misi nel suo beauty, lui fece per prendere lo shampoo e la estrasse, sbiancando. Erano le 17.15, ho fatto la doccia alle 21.30: dovetti scappare e chiudermi nello spogliatoio per sfuggirgli". Poi aggiunge: "Ho sfidato i più forti del mondo, da Maradona a Ronaldo, da Van Basten a Gullit. Quelli che temevo di più erano Marco Simone del Milan ed Enrico Chiesa. Loro tiravano da ogni posizione, mi mettevano in crisi. Mi facevano sempre gol ed io li soffrivo mentalmente".

Peruzzi: "Zoff il portiere più forte"

Sulla sua passione da tifoso l'ex portiere non si sbilancia: "Mi avranno chiesto un milione di volte quale sia la mia fede calcistica. Mi sono legato tanto alle mie squadre, ma non ne tifo una in particolare. Io non ho mai fatto il ruffiano coi tifosi. Mi emozionai quando da giocatore della Lazio andai a Torino e ricevetti gli applausi dei miei vecchi tifosi della Juventus: vuol dire che mi avevano apprezzato e non mi avevano dimenticato. Quando dalla Juve passai all’Inter, invece, ho sofferto tantissimo. I miei nuovi tifosi mi bersagliavano con fischi e insulti. Chiamai mia moglie pensando di smettere". Mentre sul suo comportamento tra i pali e sugli illustri colleghi non ha dubbi: "Adoravo affrontare nell’uno contro uno l’avversario. Per me era una forma di droga, mi esaltava: sfidare il rivale in campo aperto è avvincente. Ero bravo nelle uscite basse, scarso su quelle alte. Potrei citare da Buffon a Banks, da Casillas e Kahn, ma per me il più forte è Dino Zoff. Non era plateale, rendeva la parata difficile semplice, ed è sempre stata la mia fonte d’ispirazione. Non mi sono mai piaciuti i portieri spettacolari. Quando ho visto il gol di Provedel all’Atletico Madrid, ho pensato che io non avrei mai potuto farlo. Non mi è mai balenato nel cervello di salire in area rivale, perché l’idea di dover poi fare 80 metri di corsa all’indietro per tornare a difendere la porta mi avrebbe stancato al solo pensiero".

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Peruzzi, l'aneddoto con Simone Inzaghi

Poi alcuni aneddoti. Il duo Peruzzi-Simone Inzaghi specialità carte: "Simone alla vigilia delle partite era nervosissimo, così io spesso lo costringevo a sfide interminabili a carte, i nostri rivali preferiti erano il cuoco Giocando e il magazziniere Walter Pela. Hanno vissuto anni difficili". Nel periodo da dirigente alla Lazio sono tre i campioni ammirati Immobile, Luis Alberto e Milinkovic: "Sergej e Immobile sentivano tanto le partite, Luis Alberto dovevi saperlo prendere: Igli non stravedeva per lui, Simone Inzaghi lo adorava. Quando veniva tolto dal campo a due minuti dalla fine, protestava, e il giorno dopo veniva da me in ufficio a chiedere la cessione al Siviglia. Un carattere particolare. Ciro mi ha sorpreso, è stato un cecchino, partivi sempre in vantaggio con lui in campo". Sul futuro chiosa: "Ho lasciato Lazio e Italia, ma se mi richiamassero io sarei disposto a parlare. Non ho avuto più contatti, ma i 4 anni alla Lazio sono stati bellissimi. Ci sono state incomprensioni, quando si litiga le colpe sono sempre di entrambi. Se mi chiamasse un’altra squadra, sarebbe difficile accettare. Con la Lazio è diverso".

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Campione del mondo con l’Italia nel 2006, vincitore della Champions League nel 1996 con la Juventus e uno tra i portieri più forti della storia del nostro calcio: Angelo Peruzzi si racconta e sono tanti i temi da affrontare. Si pate dalla Lazio, club con il quale ha chiuso la carriera e dove ha lavorato di recente come dirigente: "La Lazio attuale sta andando alla grande perché i calciatori hanno voglia di stare insieme. Se compri giocatori forti che poi giocano per se stessi, non farai mai bene coralmente. Il calciatore è l’egoista per antonomasia, ma se riesci a farlo appassionare, è la svolta. Io ho giocato con Baroni alla Roma quando avevo 17 anni, lui è una persona rara in un calcio in cui ormai c’è davvero tanto cinema. Una persona seria, capace, determinata. Nel calcio non servono scienziati".

Peruzzi e l'impostazione dal basso

Sul calcio moderno e il ruolo del portiere che si è trasformato con l'impostazione dal basso, Peruzzi la pensa così: "Non mi è mai piaciuta, perché ero scarso coi piedi. Sono stato responsabile dei portieri in Nazionale, il coordinatore era Arrigo Sarri, che mi costrinse a prevedere una serie infinita di esercizi per i portieri con i piedi. Lo provocai, dicendo che a quel punto avremmo potuto mettere Pirlo in porta. A mio avviso il portiere deve prima di tutto parare, poi se è forte con i piedi è un plusvalore. A 17 anni giocavo nella Roma con Baroni, l’allenatore era Liedholm, che mi costringeva, quando attaccavamo, a rimanere fuori dall’area, perché dovevo mantenere una certa distanza con i difensori. Negli anni ottanta i portieri non si allenavano coi piedi, ma già c’era l’idea che il portiere potesse essere anche un giocatore in più di movimento. Ai miei tempi Van Der Sar era il numero uno, oggi c’è Ederson del Manchester City".

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