La vicenda Lautaro paradigma del calcio italiano: ricordate l'inseguimento a Buffon

Il caso dell'argentino, il duello Scudetto e i corsi e ricorsi: c'era sempre Chinè...

Il bello del racconto del calcio in Italia è che puoi prenderti una pausa di qualche settimana prima di tornare a scrivere ma sai già che tutto sarà esattamente ai decenni precedenti. Dai programmi di approfondimento che dopo anni decidono di occuparsi anche delle vicissitudini finanziarie e non solo di altre squadre ma si rendono conto che così non funziona e allora lo speciale diventa “il derby d’Italia” con un po’ di Juve in mezzo - sennò che senso ha? – agli allenatori che ci raccontano di avere subìto torti contro Lazio, Milan e compagnia ma hanno deciso di lamentarsi solo dopo la partita contro la Juventus, perché stavolta “ho voluto alzare un po’ la voce, spero sia l’ultima volta che lo faccio”, dai soliti noti che allora tornano ad avvelenare il clima – finalmente solo sui social e non più sulle televisioni nazionali, quantomeno – parlando di “venticello”, “brand” e altre scemenze simili alle richieste di rinvio a giudizio per i presidenti altrui per le questioni plusvalenze, che un tempo appassionavano così tanto giornali e procura federale, mentre oggi tutto sommato è meglio godersi questo meraviglioso campionato: certe cose, nel 2025, non interessano più come nel 2022. Così si arriva alle ultime giornate di campionato in cui Inter e Napoli si giocano il titolo punto a punto: anche qui certe cose non cambiano mai, tra un Inzaghi che trova il modo di lamentarsi anche alla fine di una partita in cui ha segnato grazie a un pallone precedentemente uscito di mezzo metro e il surreale caso Lautaro, che vale la pena di essere raccontato nel dettaglio perché al suo interno si intrecciano tante storie siginficative.

 

Alla fine di Juventus-Inter, l’argentino viene ripreso mentre pronuncia una frase blasfema che dovrebbe costare una squalifica per Inter-Genoa (per una norma magari un po’ anacronistica ma tuttora in vigore). Tuttavia, nonostante le immaginiamo incessanti ricerche, non si trova l’audio e quindi l’argentino rimane a disposizione e realizza la rete decisiva in un match che vale il sorpasso (e che vede anche la mancata ammonizione del diffidato Mkhitaryan in vista del match scudetto contro il Napoli). Non basta, perché il Toro esplode di rabbia per l’accusa ricevuta: “Non ho mai bestemmiato, quanto è successo mi ha dato fastidio. Cerco di imparare e trasmettere rispetto anche ai miei figli”. Tuttavia, dopo giorni, l’audio misterioso viene ritrovato e, a quanto risulta, contiene proprio l’espressione blasfema che Lautaro smentiva sdegnato e che, se sentita tempestivamente, non gli avrebbe permesso di realizzare la rete della vittoria contro il Genoa. Finale della storia: arriverà il deferimento, il capitano nerazzurro potrà patteggiare e beccarsi un’ammenda (ricordiamo l'inseguimento di Chinè a Buffon, alla fine squalificato tre mesi dopo a seguito di un ricorso della procura federale, furiosa per la punizione solo pecuniaria assegnata in prima battuta dal tribunale).

 

 

 

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In un contesto così, due parole la Juve può tirarle fuori

La vicenda risulta emblematica sotto diversi punti di vista: gli audio che a volte pare non esistano come nel caso Acerbi e altre si trovano in ritardo e quindi ormai è un po’ tardi per certe sanzioni (vi ricorda qualcosa?); il campione impunito che, appena ha la parola, invece di abbassare i toni per essersela cavata li alza indignato almeno fino all’audio ritrovato; la giustizia sportiva a due pesi, a due velocità, a due tutto; l’ambiente di Napoli decisamente più soft rispetto agli anni di tensioni ai massimi livelli per gialli mancati, sconfitte in hotel e perfino per il presunto tunnel fantasma che sarebbe servito ad aggirare la squalifica all’allora mefistofelico Antonio Conte: a che spettacolo imperdibile avremmo assistito se, alle porte del duello decisivo con la Juve, avessero graziato così il nostro capitano e goleador e pure un nostro centrocampista diffidato? Manca l’avversario di sempre e così ci si ritrova spiazzati, perché attaccare realmente una rivale storica dei nemici in bianconero vorrebbe dire rinnegare sé stessi e allora, almeno fino al ritrovamento del video, ecco solo i post timidi di qualche impavido e il rumoroso silenzio dei soliti noti.

 

C’è da sperare che la Juve, negli anni buoni e in quelli più difficili, torni all'altezza in campo e mantenga un livello dialettico e comportamentale in linea con la sua storia ma, in un contesto così ipocrita, in cui lo stile (e il silenzio) non viene certamente riconosciuto come un merito, viene il dubbio che, almeno quando si vince la quarta partita di fila e non si può passare per lamentosi, almeno quando spingono a due mani Vlahovic solo davanti al portiere avversario, magari sia il caso di dire due parole. Due parole, niente di più, solo per vedere l’effetto che fa.

 

 

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Il bello del racconto del calcio in Italia è che puoi prenderti una pausa di qualche settimana prima di tornare a scrivere ma sai già che tutto sarà esattamente ai decenni precedenti. Dai programmi di approfondimento che dopo anni decidono di occuparsi anche delle vicissitudini finanziarie e non solo di altre squadre ma si rendono conto che così non funziona e allora lo speciale diventa “il derby d’Italia” con un po’ di Juve in mezzo - sennò che senso ha? – agli allenatori che ci raccontano di avere subìto torti contro Lazio, Milan e compagnia ma hanno deciso di lamentarsi solo dopo la partita contro la Juventus, perché stavolta “ho voluto alzare un po’ la voce, spero sia l’ultima volta che lo faccio”, dai soliti noti che allora tornano ad avvelenare il clima – finalmente solo sui social e non più sulle televisioni nazionali, quantomeno – parlando di “venticello”, “brand” e altre scemenze simili alle richieste di rinvio a giudizio per i presidenti altrui per le questioni plusvalenze, che un tempo appassionavano così tanto giornali e procura federale, mentre oggi tutto sommato è meglio godersi questo meraviglioso campionato: certe cose, nel 2025, non interessano più come nel 2022. Così si arriva alle ultime giornate di campionato in cui Inter e Napoli si giocano il titolo punto a punto: anche qui certe cose non cambiano mai, tra un Inzaghi che trova il modo di lamentarsi anche alla fine di una partita in cui ha segnato grazie a un pallone precedentemente uscito di mezzo metro e il surreale caso Lautaro, che vale la pena di essere raccontato nel dettaglio perché al suo interno si intrecciano tante storie siginficative.

 

Alla fine di Juventus-Inter, l’argentino viene ripreso mentre pronuncia una frase blasfema che dovrebbe costare una squalifica per Inter-Genoa (per una norma magari un po’ anacronistica ma tuttora in vigore). Tuttavia, nonostante le immaginiamo incessanti ricerche, non si trova l’audio e quindi l’argentino rimane a disposizione e realizza la rete decisiva in un match che vale il sorpasso (e che vede anche la mancata ammonizione del diffidato Mkhitaryan in vista del match scudetto contro il Napoli). Non basta, perché il Toro esplode di rabbia per l’accusa ricevuta: “Non ho mai bestemmiato, quanto è successo mi ha dato fastidio. Cerco di imparare e trasmettere rispetto anche ai miei figli”. Tuttavia, dopo giorni, l’audio misterioso viene ritrovato e, a quanto risulta, contiene proprio l’espressione blasfema che Lautaro smentiva sdegnato e che, se sentita tempestivamente, non gli avrebbe permesso di realizzare la rete della vittoria contro il Genoa. Finale della storia: arriverà il deferimento, il capitano nerazzurro potrà patteggiare e beccarsi un’ammenda (ricordiamo l'inseguimento di Chinè a Buffon, alla fine squalificato tre mesi dopo a seguito di un ricorso della procura federale, furiosa per la punizione solo pecuniaria assegnata in prima battuta dal tribunale).

 

 

 

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