Pierluigi Matera non solo è un avvocato cassazionista e un professore ordinario (insegna alla Luiss e alla Boston University in quanto affermato studioso del diritto societario statunitense). È anche uno dei massimi esperti italiani nel diritto degli enti sportivi. Presso il Coni è attualmente componente della Commissione per la riforma dello Statuto ed è stato altresì membro della commissione consultiva per la riforma della Giustizia Sportiva del Coni (2014-15) che ha redatto il vigente Codice della giustizia sportiva. Decisamente, può aiutarci a fare chiarezza sul caso scommesse: «Dobbiamo distinguere due piani: il primo è quello del procedimento penale, il secondo è quello della giustizia sportiva. Nel procedimento penale i protagonisti non sono i giocatori, bensì i presunti organizzatori e coloro che riciclavano per celare le tracce delle scommesse illecite. Per i calciatori coinvolti il fatto rilevante è che abbiano scommesso su piattaforme illegali. La legge prevede l’arresto fino a 3 mesi e l’ammenda fino a 500 euro: si può uscirne pagando l’oblazione della metà del massimo, cioè 250 euro. Persino coloro che abbiano dato pubblicità e coinvolto altri rischiano poco di più. Dunque, dal punto di vista penale, la situazione sarebbe facilmente gestibile».
Per qualcuno, però, si parla di percentuali di denaro legate alle somme perse da altri. Nel caso, c’è il rischio di passare da vittime dell’organizzazione a parte della stessa?
«Bisogna capire se quella partecipazione è solo pubblicità o diventa concorso nel reato. Va capita l’intensità. Sei vittima che dava pubblicità per alleviare i tuoi debiti e dunque la percentuale era una riduzione su una debitoria accumulata oppure sei diventato parte dell’organizzazione? Al momento mi pare che i pm non abbiano elevato i calciatori, anche i più esposti, al rango di concorrenti».
Ragioniamo sul piano sportivo, allora.
«Il fatto sportivo è diverso. Qui l’elemento rilevante è che abbiano o meno scommesso su partite di calcio. Poco importa che l’abbiano, nel caso, fatto su piattaforme illegali. La ratio sottesa è prevenire il conflitto di interessi, non comprimere i diritti del tesserato».