Boga, l’Atalanta, il consiglio a Hojlund, i tortellini e le messe su Zoom

Intervista esclusiva all’atalantino: “Ho un solo desiderio. In Europa con la Dea”
Boga, l’Atalanta, il consiglio a Hojlund, i tortellini e le messe su Zoom© www.imagephotoagency.it

BERGAMO - Punta dell’Atalanta, ragazzo molto religioso, attaccato alla famiglia e con tanta voglia di aiutare bambini e ragazzi speciali. Jeremie Boga si è raccontato nella serenità di Zingonia, il suo sorriso e i modi pacati sono l’opposto del suo gioco tutto dribbling, scatti e invenzioni. Ecco i pensieri del numero 10 della Dea per le ultime 10 gare di questa stagione. Con un desiderio grande: tornare in Europa.

Jeremie Boga domanda secca: il gol di Cremona quanto vale da 0 a 10?

«Direi un bell’8. Anche 9. È un gol molto importante, come lo sono stati anche quelli di de Roon e Lookman. Ma la cosa che conta di più è che abbiamo vinto».

A proposito del suo numero 10: pesa in modo particolare oppure è uno stimolo?

«Fin da piccolo, era un sogno indossare la numero 10. Non è una cosa che mi crei particolare pressione, mi aiuta invece a dare di più. Ho sempre giocato a pallone e nella mia carriera mi hanno sempre accompagnato il numero 10 e il numero 7».

Da Bologna in avanti, il suo 2023 è uno spasso: 2 gol e 5 assist.

«Posso fare anche meglio. In questo inizio di 2023 credo si sia vista la miglior versione di Boga con la maglia dell’Atalanta ma l’obiettivo, come sempre, è di crescere e fare ancora di più. Sulla fascia ma anche da 10».

In tanti si chiedono: perché Boga entra così poco in area di rigore?

«Per abitudine. Istintivamente mi viene da giocare più lontano dalla porta, ma sto lavorando molto per fare anche movimenti diversi, più dentro l’area di rigore».

Ventotto partite di campionato, Atalanta sempre in zona Europa.

«In questo momento, penso che l'Atalanta sia dove merita di stare. Ci sono ancora 10 partite, tanti punti e dobbiamo solo pensare a giocare e a fare il massimo: poi vedremo quanto in alto saremo stati capaci di arrivare».

Siete in 5 attaccanti, lei e ogni compagno in una parola?

«Per Boga dico “dribbling”, Hojlund “velocità”, Muriel è “eleganza”, Zapata direi “forza” mentre Lookman è complicato, lui è un po’ di tutto questo. Facciamo così: “killer”, quando vede la porta è letale».

Hojlund ha solo 20 anni eppure la sensazione è che possa diventare un top. Un consiglio?

«Deve solo continuare così e rimanere sereno e concentrato. Credo che possa avere un grande futuro, lo vedo tutti i giorni a Zingonia. Avanti con il lavoro, senza farsi condizionare dalle mille voci che girano e che escono quotidianamente sui giornali».

Ci racconta tre cose che non sappiamo di lei?

«Sono molto appassionato di serie tv. Ne guardo di tutti i tipi. Adesso sono concentrato su Snowfall. La mia fede cristiana, poi, è fortissima. Con le partite non mi è possibile andare la domenica in chiesa e allora ci sono appuntamenti in settimana via Zoom cui partecipo con grande gioia. E ancora, mio figlio Calvin: ha 6 anni, non vive con me ma ci vediamo molto spesso. Inizia a giocare a calcio ed è davvero bello passare del tempo con lui».

Lei è ivoriano ma ha giocato a Reggio e Emilia e Bergamo: tortellini, casoncelli o attiéké?

«Buoni i tortellini e i casoncelli ma scelgo l’attiekè. Anche perché lo preparo io, è qualcosa di davvero molto speciale, ma va mangiato dopo le partite. È una specie di cous-cous, ci vanno la manioca, verdure, un contorno di platano e poi si accompagna con carne e pesce. Davvero molto buono».

La sua famiglia ha grande importanza per lei.

«Siamo tre fratelli, uno più grande e mia sorella più piccola. Papà e mamma vivono in Costa d’Avorio, vengono spesso a trovarmi e quando abbiamo un po’ di tempo lo trascorriamo assieme. Nei momenti difficili sono sempre stati al mio fianco e tutto quello che faccio è per loro».

È nato a Marsiglia da genitori ivoriani, poi Londra, Granada e Rennes. È andato sempre tutto liscio con i vari trasferimenti? Come ci si adatta?

«Il momento più difficile è stato quando avevo 11 anni e da Marsiglia ci siamo trasferiti a Londra. Con tutta la famiglia. Io iniziai al Chelsea. Più avanti con l’età ho imparato a gestire meglio anche questi continui cambi di paese, ma la costante è stata la presenza di tutti quelli che mi hanno sempre voluto bene. Siamo molto legati».

Special Olympics Costa d'Avorio, un progetto cui lei tiene molto.

«Sono ambasciatore per loro. Credo che aiutare i bambini e gli atleti sia importante, non solo dal punto di vista economico ma anche con la presenza. Il 17 giugno a Berlino iniziano gli Special Olympics World Games e vorrei andare. Credo molto in Dio e penso che sia importante aiutare chi ha bisogno».

Ce l’ha un desiderio?

«Solo uno? Ne avrei molti. Però scelgo quello più vicino, quello che ogni giorno quando andiamo in campo cerchiamo di conquistare. Speriamo di tornare in Europa, lo vogliamo tutti con grande determinazione».

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Loading...