Così non è calcio. Var, il riassunto osceno: gli arbitri si diano una regolata

Il rigore concesso ieri sera al Bruges è la preoccupante sintesi di quanto è accaduto al gioco del pallone negli ultimi anni

O cambiamo gli arbitri o cambiamo il nome. Non chiamatelo più calcio, perché così non lo è più. Lo spirito del gioco è tradito dalla mistificazioni delle sue regole. Il rigore concesso ieri sera al Bruges è l’osceno riassunto di quanto è accaduto al gioco del pallone negli ultimi anni, in cui la vivisezione televisiva degli episodi ha scoperto falli ovunque, ha cancellato la percezione della reale entità di un contatto, ha trasformato gli sfioramenti in falli, snaturando la filosofia di quello che è sempre stato e dovrebbe restare uno sport di contatto. In Belgio l’Atalanta ha perso la partita, l’Italia punti del ranking, il calcio la faccia. Perché si sarà anche visto di peggio (al quale - si sa - non c’è limite), ma è esemplare e folle la trasformazione in rigore di una maldestra manata che ha provocato danni. segno di un calcio nel quale è sempre più difficile riconoscersi e che, appunto, sarebbe più onesto chiamate in un altro modo. 

Tutto è iniziato col Var

È iniziato tutto qualche anno fa con l’avvento del Var, che non è e non sarà mai il cattivo di questa storia. Perché il Var è uno strumento di eccezionale utilità, ma è ormai chiaro che se ne sta sbagliando il metodo di utilizzo. Perché, non scordiamolo mai, deve aiutare e, mai e poi mai, sostituire l’arbitro, come purtroppo sembra accadere negli ultimi tempi, nei quali i signori dietro il monitor condizionano in modo spesso irrimediabile l’arbitro in campo, il sovrano unico della partita. È la differenza fra video assistenza arbitrale e moviola in campo di biscardiana memoria diventa pericolosamente sottile. Perché il moviolista televisivo ha diritto di andare a scovare un cavilloso contatto in area, anche solo per fare caciara; mentre un arbitro cui è stato demandato il compito di aiutare il collega in campo, deve solo salvarlo dalle topiche, non segnalare ogni vaga ipotesi di fallo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Così il calcio non funziona

Li chiamano «rigorini» e, quando ci sono, sono così piccoli che senza il microscopio del Var, non si vedono a occhio nudo, ma vengono fischiati, finendo per istigare a cadere al minimo contatto.

Il regolamento del calcio è, purtroppo, un codice non proprio esatto, ma ampliare la disparità di giudizio e la mancanza di coerenza apriranno in modo ancora più ampio la voragine dentro la quale finisce il buon senso e l’idea di uno sport dove ci si può toccare senza commettere alcun fallo e nel quale il rigore è anche detto “massima punizione” non perché suonava bene, ma perché massima punizione deve essere, ovvero assegnata per un fallo massimo. Così almeno funziona nel calcio.  

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O cambiamo gli arbitri o cambiamo il nome. Non chiamatelo più calcio, perché così non lo è più. Lo spirito del gioco è tradito dalla mistificazioni delle sue regole. Il rigore concesso ieri sera al Bruges è l’osceno riassunto di quanto è accaduto al gioco del pallone negli ultimi anni, in cui la vivisezione televisiva degli episodi ha scoperto falli ovunque, ha cancellato la percezione della reale entità di un contatto, ha trasformato gli sfioramenti in falli, snaturando la filosofia di quello che è sempre stato e dovrebbe restare uno sport di contatto. In Belgio l’Atalanta ha perso la partita, l’Italia punti del ranking, il calcio la faccia. Perché si sarà anche visto di peggio (al quale - si sa - non c’è limite), ma è esemplare e folle la trasformazione in rigore di una maldestra manata che ha provocato danni. segno di un calcio nel quale è sempre più difficile riconoscersi e che, appunto, sarebbe più onesto chiamate in un altro modo. 

Tutto è iniziato col Var

È iniziato tutto qualche anno fa con l’avvento del Var, che non è e non sarà mai il cattivo di questa storia. Perché il Var è uno strumento di eccezionale utilità, ma è ormai chiaro che se ne sta sbagliando il metodo di utilizzo. Perché, non scordiamolo mai, deve aiutare e, mai e poi mai, sostituire l’arbitro, come purtroppo sembra accadere negli ultimi tempi, nei quali i signori dietro il monitor condizionano in modo spesso irrimediabile l’arbitro in campo, il sovrano unico della partita. È la differenza fra video assistenza arbitrale e moviola in campo di biscardiana memoria diventa pericolosamente sottile. Perché il moviolista televisivo ha diritto di andare a scovare un cavilloso contatto in area, anche solo per fare caciara; mentre un arbitro cui è stato demandato il compito di aiutare il collega in campo, deve solo salvarlo dalle topiche, non segnalare ogni vaga ipotesi di fallo.

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