Mihajlovic: "Tornato al Bologna perché ero in debito"

Il tecnico: "Mi ha dato fiducia dopo due soli anni dal termine della mia carriera da giocatore, è stata la prima squadra che ho allenato: sono cose che non si dimenticano"
Mihajlovic: "Tornato al Bologna perché ero in debito"© FOTO SCHICCHI

BOLOGNA - "Nel mestiere di allenatore, anche se hai 10 lauree, non hai l'undicesima: non tutti sanno fare tutto. Per questo non ho avuto un allenatore che mi abbia dato qualcosa più degli altri. Ad esempio Mancini lavora benissimo in campo, Zaccheroni insegnava benissimo la tattica, Boskov e Mazzone erano grandi motivatori". Si racconta così Sinisa Mihajlovic in un webinar rivolto ai ragazzi delle giovanili del Bologna: "Io ho cercato - ha proseguito - di prendere da loro e di metterci qualcosa di mio. Si cresce se hai voglia di farlo. Poi è chiaro che ero legato a Boskov perché veniva dal mio Paese e a Mancini con il quale avevo giocato. Anche lo staff è importante: ti aiuta nelle cose che conosci meno. E la maggior soddisfazione al Bologna è stata la salvezza"

Sincero e leale coi calciatori

"Le caratteristiche che guardo in un giocatore, al di là della tecnica, sono carattere e intelligenza: gli servono anche nella vita. Boskov diceva che il giocatore intelligente è quello che vede un'autostrada dove gli altri vedono un sentiero stretto. I miei giocatori sono liberi di fare tutto quello che dico io. Il rapporto è normale, un po' come quello coi figli. Poi sono giovani e ogni tanto commettono stupidaggini. Cerco di dare l'esempio e delle indicazioni importanti anche nella vita. Bisogna essere capace di ascoltare i consigli degli adulti, anche se non sempre è facile. E bisogna essere veri, sinceri e leali nel rapporto con i giocatori. La grinta dipende dal carattere, devi essere umile ma credere sempre in te stesso, cercare di dare e fare di più. Ho sempre avuto come obiettivo sentire l'odore del campo, poi magari tra 15 anni siederò dietro una scrivania, ma ora mi piace il campo. 

Il debito col Bologna

"Il Bologna è stato la mia prima squadra da allenatore, e non si dimentica. Mi ha dato fiducia dopo due soli anni dal termine della mia carriera: è uno dei motivi per cui sono tornato. Mi sentivo in debito con la città, anche se sono ancora convinto che avrei salvato la squadra anche allora se fossi rimasto fino alla fine. Quando l'anno dopo sono arrivato col Catania, la gente si è alzata per salutarmi, ho sempre avuto un buon rapporto con la città. çLe esperienze sono tutte utili, anche quelle negative. Io stesso non sono uguale a 10 anni fa, oggi sono più riflessivo. Non si può trattare ogni giocatore allo stesso modo, nel rispetto per tutti. Bisogna capire che si fa tutto per il bene del singolo e della squadra, creare una bella atmosfera: senza non si vince niente. Quando si perde bisogna essere sereni. Non mi arrabbio se un giocatore sbaglia un gol o un movimento, ma mi arrabbio se sbaglia atteggiamento. Se vedo che qualcosa non va, parlo e mi confronto subito con loro: non voglio persone che portano rancore o che hanno le facce tristi".

Le punizioni di Orsolini

"Jovetic è stato il giocatore che mi ha impressionato di più tra quelli che ho allenato. Sfortunatamente la sua carriera è stata contornata da infortuni. I giovani? Non ho mai guardato la carta d'identità: se uno è bravo lo faccio giocare, ma prima gli parlo per capire se è maturo per non bruciarsi. Se ho due giocatori con caratteristiche simili cerco di far giocare il più giovane, pur sapendo che può alternare le prestazioni: ma ha molte possibilità di crescita. Miglior calcio che ho giocato? Stella Rossa e Lazio. Le punizioni di Orsolini? Ho detto solo dove deve mettere il piede. Ora non calcio più ma fino a due anni fa le punizioni le calciavo meglio dei miei giocatori. Se uno ha talento e un bel piede, se si allena tutti i giorni, può migliorare molto. Il giorno prima del gol con la Fiorentina gli ho dato qualche consiglio, ma è una dote sua e con un po' di incoscienza ha segnato. Questo vuole dire che bisogna credere in se stessi e provarci sempre".

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