Il paradosso. Davide Nicola più ancora che per la salvezza in sé è soddisfatto per il percorso, che ha portato alla salvezza. Lo sa bene - del resto - che in fin dei conti la differenza tra chi con 36 punti è rimasto in A e chi con 35 è andato in B, beh, può stare racchiusa pure in qualcosa di imponderabile, fortuito, casuale.
La perseveranza di Davide Nicola
Semmai, ciò che non può essere racchiuso nell’imponderabile, nel fortuito e nel casuale è il costante lavoro (ordinario e straordinario) che Davide Nicola ha svolto da quando ha preso la guida dell’Empoli. Un lavoro fatto di competenza tattica e calcistica, di empatia umana, di abilità comunicative. Non motivazionali eh, attenzione: comunicative. Vale a dire la bravura nel fare sì che quei principi di gioco che tu consideri utili e funzionali alla causa vengano recepiti come tali dai giocatori. Giocatori che dunque ti reputano credibile e ti seguono. L’ha detto chiaro e tondo, del resto, Nicola: «Quando sono arrivato mi sono dovuto adattare. Si faceva gioco di reparto, legato alla percezione degli spazi. Gradualmente siamo passati a giocare a uomo, con l’uno contro uno quasi a tutto campo».
Prestazioni all'altezza ed una salvezza meritata
Vien da sé che se invece i giocatori non ti ritengono credibile, queste rivoluzioni repentine e fruttuose non si verificano di certo. Men che meno si raggiunge un equilibrio che ti permette di mantenere una velocità di crociera costante e sostenuta, senza picchi o crolli. Anche questa considerazione, probabilmente, nelle valutazioni di Nicola è tutt’altro che marginale e può pesare quanto una salvezza nel momento in cui si valuta il percorso svolto magari comparandolo con esperienze passate (certi cali di concentrazione tramutatisi in goleade subite ai tempi in cui allenava il Toro e il Genoa). No, questa volta no. Nessuno 0-4 contro l’Inter, nessuno 0-7 contro il Milan. Empoli in pugno dall’inizio alla fine e prestazioni sempre all’altezza.
Spogliatoio compatto: il segreto di Nicola
Pure a livello di singoli, giocoforza, gli azzurri di Nicola hanno risposto presente andando spesso altre i propri limiti. E questa è un altro merito del tecnico piemontese. Fa sentire i giocatori importanti, per davvero. Parla con loro, faccia a faccia. Spesso. Crea empatia e affinità. Carisma? Qualcosa di simile, via... Nel senso che Nicola sostiene spesso che «non servono motivatori, non servono personaggi carismatici che “controllino” perché ciascuno di noi ha bisogno degli altri solo quando non sa come fare a raggiungere un obiettivo; ma una volta che sappiamo cosa serve, dobbiamo far da soli». E per ciò che riguarda l’Empoli, Nicola l’ha detto chiaramente ciò che serviva. E poi s’è messo a lavorare duro e con ottimismo e fiducia («perché la negatività non è nient’altro che energia sprecata, energia che ti impedisce di accettare il rischio di un fallimento»).
Il metodo Nicola: la collezione delle salvezze si allarga
La conseguenza di tutto questo non sta, dunque, “solo” in una salvezza. Ma sta nei 23 punti in 18 partite che Nicola ha fatto conquistare ad una squadra che prima di lui ne aveva messi insieme appena 13 in 20 incontri.
E dunque, morale della favola. Nicola non è «quello delle salvezze impossibili», non è «quello del fioretto e del percorso in bicicletta». No, Nicola è quello che raggiunge gli obiettivi prefissati. Le imprese con Crotone, Salernitana e ora Empoli (senza dimenticare comunque le salvezze con Torino e Genoa) in comune non hanno nulla di mistico. In comune hanno lavoro e competenza. Eccolo, il metodo Nicola.