Juve sputtanata e messa alla gogna. Inter e Milan, oggi nessuno si indigna

Dal 2017 al 2024, dai servizi affilati al silenzio di un bibliotecario: ma guarda com’è cambiato il clima…

Sfogliare i giornali e riguardare certe trasmissioni del 2017 regala una strana sensazione. Sette anni fa, quando un’inchiesta della Procura di Torino scoprì le infiltrazioni della Ndrangheta nel tifo organizzato juventino, l’indignazione dei media fu grande e vigorosa. I programmi d’inchiesta dedicarono affilati servizi sull’argomento che, per un buon periodo di tempo, aveva trovato cittadinanza sulle prime pagine dei quotidiani politici e sportivi.

L'intercettazione inventata

Anche allora, come capita oggi a Inter e Milan, la Juventus e i suoi dirigenti non comparivano nel registro degli indagati, ma partecipavamo come persone informate dei fatti e poi come parte lesa, collaborando in modo attivo all’inchiesta e denunciando i tifosi collusi con la malavita (cosa, quest’ultima, che non risulta ancora essere successa a Milano). Questo non aveva impedito di rappresentare la Juventus, il suo presidente e i suoi dirigenti come complici o favoreggiatori della Ndrangheta con un crescendo che aveva portato a una grottesca audizione davanti alla Commissione Antimafia in cui si vaneggiò di un’intercettazione compromettente per Andrea Agnelli che, semplicemente, non esisteva.

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Due pesi e due misure

Lo sputtanamento della Juventus fu sistematico e dannoso, l’atteggiamento collaborativo del club (che mise a rischio un suo dirigente per raccogliere le prove decisive) venne per lo più ignorato. E, soprattutto, nonostante emergesse lampante il problema delle infiltrazioni malavitose in tutte le curve, nessuno imbastì altre inchieste in altre città (o chi lo fece le vide stranamente appassire), lasciando pensare che quello della Juventus fosse un caso isolato (al grido di "Sempre loro!").

Oggi scopriamo che non era così, ma lo facciamo in silenzio, con l’approccio garantista e felpato come il passo di un bibliotecario, senza indignazione popolare, senza intercettazioni inventate, senza titoloni accusatori, senza gogna per i dirigenti. Il tutto in attesa delle mosse della giustizia sportiva che sappiamo essere guizzante o sonnacchiosa, a seconda delle situazioni e delle circostanze. In questo scenario vagamente distopico c’è, per fortuna, chi, come Massimo Giletti, ha la voglia e il coraggio di richiamare l’attenzione sui fatti delle curve milanesi, di porsi delle domande e cercare delle risposte. Non per una questione di tifo, ma di amore della verità e della parità di trattamento.

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Sfogliare i giornali e riguardare certe trasmissioni del 2017 regala una strana sensazione. Sette anni fa, quando un’inchiesta della Procura di Torino scoprì le infiltrazioni della Ndrangheta nel tifo organizzato juventino, l’indignazione dei media fu grande e vigorosa. I programmi d’inchiesta dedicarono affilati servizi sull’argomento che, per un buon periodo di tempo, aveva trovato cittadinanza sulle prime pagine dei quotidiani politici e sportivi.

L'intercettazione inventata

Anche allora, come capita oggi a Inter e Milan, la Juventus e i suoi dirigenti non comparivano nel registro degli indagati, ma partecipavamo come persone informate dei fatti e poi come parte lesa, collaborando in modo attivo all’inchiesta e denunciando i tifosi collusi con la malavita (cosa, quest’ultima, che non risulta ancora essere successa a Milano). Questo non aveva impedito di rappresentare la Juventus, il suo presidente e i suoi dirigenti come complici o favoreggiatori della Ndrangheta con un crescendo che aveva portato a una grottesca audizione davanti alla Commissione Antimafia in cui si vaneggiò di un’intercettazione compromettente per Andrea Agnelli che, semplicemente, non esisteva.

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