Inter, l'orgoglio ferito di Zhang

Inter, l'orgoglio ferito di Zhang© Inter via Getty Images

Confidenza di un autorevole imprenditore italiano, ottimo conoscitore dell’Impero Suning: «Con l’avvento della famiglia Zhang, l’Inter non si è assicurata il presente e il futuro: ha sottoscritto una polizza per l’eternità». L’interlocutore non esagera: la multinazionale di Zhang Jindong (immobiliare, catena commerciale al dettaglio e all’ingrosso, media e intrattenimento, sport e servizi finanziari) conta 600 milioni di clienti in tutto il mondo, 280 mila dipendenti e nel 2019 ha fatturato circa 80 miliardi di euro. Zhang Padre, secondo la rivista americana Forbes ha un patrimonio personale di circa 12 miliardi di euro.

Ora, secondo voi, un gigante di queste dimensioni come può aver preso il colossale autogol mediatico segnato a Bergamo da uno dei 280 mila dipendenti di cui sopra, nonché il più pagato allenatore del massimo campionato italiano? Male è riduttivo. Malissimo un eufemismo. Tant’è vero che la telefonata di ieri fra Zhang Figlio e l’allenatore è stata formalmente cordiale, tuttavia scandita da una raccomandazione sibillina, riassumibile in dieci parole: ora pensiamo all’Europa League, i conti li faremo dopo. Non basta. Ciò che ha fatto eufemisticamente irritare i Signori Suning è stata la constatazione di come, a causa dello show in tv del tecnico, i meriti della grande stagione dell’Inter, seconda a un punto dalla Juve campione, siano passati in terzo piano, visto che da due giorni si parla solo delle frecce al curaro lanciate contro Antonello, Ausilio, Marotta e Zanetti. E chi altri doveva essere il bersaglio dell’invettiva, se non lo stato maggiore della società nella quale, Conte dixit, «ho trovato scarsissima protezione. Zero assoluto, ma alla fine tutti sono saliti sul carro». E ancora, inorgogliendo Cambronne (il generale francese che a Waterloo, quando gli inglesi intimarono: «Arrendetevi! », rispose: «Merde!»): «Le palate di cacca le abbiamo prese io e i calciatori. Ognuno ha cercato di coltivare il proprio orticello. Io ci metto sempre la faccia davanti a tutti, ma fino a un certo punto, perché uno non è mica scemo. Il parafulmine uno lo fa il primo anno, il secondo no». Per non dire di quando l’allenatore ha sbottato; «Ci sarebbe da parlare anche con il presidente, ma il presidente è in Cina...». Come se Steven Zhang facesse il turista a Nanchino. Chissà se Conte conosce una massima di Confucio: «Non ho mai conosciuto un uomo che, vedendo i propri errori, ne sapesse dar colpa a se stesso». Attenti all’orgoglio ferito di Suning.

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