Zanetti: "I miei tre no per l’Inter. Volevo vincere qui, ce l’ho fatta”. E su Messi...

Il grande ex nerazzurro svela alcuni retroscena di mercato: "Al Real Madrid sarei stato uno in più, Ferguson mi tentò in aeroporto. E al Barça ho... lanciato Puyol!"
Zanetti: "I miei tre no per l’Inter. Volevo vincere qui, ce l’ho fatta”. E su Messi...© LAPRESSE

Javier, quando è scoccata la scintilla per il calcio?
«Avevo tre anni e mi hanno regalato un pallone da cui non mi staccavo mai. Nel quartiere Dock Sud ad Avellaneda, a duecento metri da casa, c’era una piazza e un campetto: è iniziato tutto lì. Abitavamo vicino allo stadio dell’Independiente, mia madre era molto tifosa: in Argentina il magazziniere avvertiva la curva dell’ingresso in campo della squadra e, quando faceva il segno, esplodeva tutto. Avevo i brividi e pensavo “chissà se anch’io proverò quell’emozione”. Ci sono riuscito».

Da Zanetti quando è diventato Pupi?
«Chiamavano così già mio fratello Sergio: in squadra c’erano tanti Javier e così sono diventato pure io Pupi, “pupazzo”. E quel soprannome mi è piaciuto subito».

Con l’Inter è stato amore a prima vista?
«Sono arrivato a Cavalese, in mezzo ai giornalisti, con un sacchetto che conteneva i miei scarpini. Mi hanno preso dal Banfield, una squadra sconosciuta, mentre Rambert arrivava dall’Independiente dove aveva vinto il campionato da capocannoniere. In più quell’anno arrivarono pure Roberto Carlos e Paul Ince. Io ero il quarto straniero e all’epoca potevano andare in campo solo in tre ma il destino ha voluto che giocassi subito ed è nato un legame molto forte. Qui mi hanno fatto sentire subito a casa».

Quella con il Real, nel 2001, è stata una scappatella?
«Avevo parlato con Valdano, il loro allenatore: mi voleva a Madrid. Era quasi tutto fatto ma ho deciso di restare e l’ho detto a Moratti».

Quanto le avevano offerto?
«Un contratto molto più importante di quello che avevo all’Inter. Io però, oltre ai soldi, consideravo la famiglia, il rapporto con i tifosi e il fatto che volessi lasciare il segno a Milano. E ho pensato: “Se vado al Real, sono uno dei tanti”. Avrei vinto sicuramente qualcosa, ma io volevo farlo qui. È stata una scelta forte, ma c’è dell’altro...».

Racconti.
«Mi hanno “tentato” pure il Manchester United e il Barcellona. Non ricordo se era il 2001 o il 2002: ero con Paula, mia moglie, e trovai Ferguson in un aeroporto: mi salutò, mi chiese quando scadeva il contratto ma io ero felice a Milano, nonostante fossero anni molto complicati per l’Inter. Altrove avrei fatto una carriera importante, ma non mi sarei trovato come all’Inter».

Con il Barcellona invece com’è finita?
«Che ho “lanciato” Puyol... Lui me lo dice sempre. Era nelle giovanili e aveva iniziato a fare qualche presenza pure in prima squadra. Un giorno Van Gaal lo chiamò e gli disse: “Voglio prendere il terzino destro più forte al mondo che è Zanetti: se non lo prendiamo, io ti tengo con me”. E Carles mi ringrazia ogni volta che mi vede...».

Cosa c’era in quell’abbraccio con Messi a Lusail?
«Tanto: l’ho visto iniziare in nazionale e meritava questa soddisfazione. L’ho ringraziato perché ha coronato il sogno di tutti gli argentini. A Doha in quei giorni si respirava un’aria speciale: tutti volevano che Lio alzasse la Coppa».

Ha un amico del cuore nel calcio?
«Con Zamorano che è il padrino di Sol e Cordoba che è padrino di “Nacho”, nonché il mio compagno di stanza all’Inter, il legame va al di là di quello che sono state le nostre carriere».

Da Hodgson e Lippi si è sentito tradito?
«Con Hodgson ho sbagliato io perché non ho capito che mi ha sostituito nella finale con lo Schalke perché voleva che Berti battesse il rigore: lalite è finita lì e anche adesso, quando ci incontriamo, ci ridiamo su. L’atteggiamento di Lippi invece non mi era piaciuto: quando le cose vanno male non bisogna cercare colpevoli, ma soluzioni. Magari, col senno di poi, l’ha fatto per andare via...».

Come ha conquistato Paula?
«Era una bambina: io avevo 18-19 anni, lei 14. Eravamo a Talleres e, quando finivo di allenarmi, andavo a vederla giocare a basket: un amico ci ha fatto conoscere e poi...».

Insieme avete creato la Fondazione Pupi. È il suo gol più bello?
«La Pupi è amore vero, è il modo per dare ai bambini del nostro paese un futuro migliore. Attraverso lo sport, cerchiamo di portare i bambini a scuola e far sì che imparino un mestiere».

Lei ha girato il mondo con gli Inter Campus: qual è il ricordo più forte?
«Quando siamo andati all’Onu: veder riconosciuto dalle Nazioni Unite il nostro lavoro è stata una cosa incredibile. E non so se qui si rendono conto che valore ha questo progetto».

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