Inter sotto esame, stavolta Marotta ha sbagliato: il peccato più grande

La vera squadra nerazzurra si vede solo in Champions. In campionato raccolti sei punti in sei big match

MILANO - La riconoscenza, nel calcio, si rivela spesso un peccato capitale. Se poi questa si lega a una campagna acquisti che ben poco ha impattato sul valore della squadra, la frittata è fatta. A Torino è andata in campo l’Inter dall’età media più alta dal 1994-95, primo campionato con i tre punti a vittoria: 30 anni e 306 giorni. Al contrario, mai - sempre da trent’anni a questa parte - nel derby d’Italia si era vista una Juve tanto giovane (25 anni e 8 giorni di età media). Questo dimostra perché si sia così ridotto il gap tra i campioni d’Italia e le rivali: la Juventus, ma pure Milan, Atalanta e Napoli, sul mercato si sono rinforzate e hanno ringiovanito organici lavorando soprattutto in prospettiva; Marotta ha regalato una “last dance” a chi aveva conquistato la seconda stella, probabilmente sottovalutando quanto sarebbe stata impattante per una squadra ormai logora in molti dei suoi senatori una stagione che presentava due gare in più in Champions League (e sarebbero state quattro se l’Inter non avesse concluso il girone nelle prime otto...) e una coda con il Mondiale per club, territorio inesplorato per tutti.

Inter, quanti errori sul mercato

Vero è che il cambio di proprietà estivo ha favorito l’idea di tenere tutti i migliori piuttosto che sacrificare uno o due big per finanziare il mercato. In estate, non va dimenticato, Oaktree ha avallato i rinnovi di Lautaro, Barella e Inzaghi tutti premiati con ingaggi top. Il problema è come sono state investite le poche risorse a disposizione. Buchanan, acquisto del gennaio scorso in anticipo sull’estate (quando, almeno, sarebbe arrivato da svincolato), si è rivelato non adatto al ruolo di esterno a tutto campo, mentre Palacios può essere certamente un giovane di buone prospettive ma oggi non serve all’Inter (e difatti è stato prestato al Monza per mettere minuti nel curriculum). Il peccato capitale riguarda Josep Martinez: in tempi di carestia si è rivelato un azzardo investire 15 milioni per un secondo portiere avendo già in rosa Sommer e la possibilità di piazzare alle sue spalle Filip Stankovic oppure tenere un altro anno Audero (che il Como ha acquistato per 6 milioni). L’ex numero uno del Genoa, tra l’altro, non deve aver stregato Inzaghi, considerato che finora si è visto soltanto in Coppa Italia.

 

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Inter, i parametri zero a impatto... zero

Un capitolo a sé meritano i due parametri zero che, almeno sulla carta, sembravano poter essere “co-titolari”, seppure pure loro un po’ stagionati. Zielinski ha purtroppo confermato la flessione già mostrata nell’ultima stagione al Napoli, mentre Taremi - che a Torino ha sprecato l’ennesima grande chance - oltre all’ambientamento in un calcio nuovo per lui sta probabilmente patendo il fatto di non avere il posto fisso, il che non gli permette di trovare la continuità di rendimento che aveva mostrato al Porto. Il peccato più grave dell’estate però è il fatto di non aver regalato a Inzaghi un attaccante che sapesse saltare l’uomo (il sogno era Gudmundsson), pedina che avrebbe garantito all’allenatore un’importante soluzione tattica in più. E così con la Juve per provare a cambiare qualcosa Inzaghi ha rispolverato Correa che, dopo aver rifiutato (pure a gennaio) ogni destinazione, è rimasto a scadenza di contratto. Almeno lui, nel dna, ha però caratteristiche diverse dagli altri attaccanti in rosa.

 

 

La vera Inter si vede solo in Champions

Lo smoking l’Inter finora lo ha messo quasi soltanto in Champions. Stridente è infatti la differenza di rendimento tra quanto combinato in Europa (6 vittorie, 1 pareggio e 1 ko, peraltro viziato da un gol nato da un angolo che non andava assegnato al Bayer Leverkusen) e il rendimento nei big match in Serie A dove l’Inter contro Napoli, Atalanta, Juve e Milan ha finora ottenuto 6 punti in 6 partite, tre dei quali ad agosto, a mercato ancora aperto, contro la banda Gasperini. Un campionato fa furono 20 in 8 scontri diretti con goleade nel derby d’andata (5-1) a Napoli (0-3) e la fondamentale vittoria sulla Juve nella partita scudetto di febbraio (1-0). È compresibile che i giocatori non abbiano più la “faccia cattiva” di un anno fa, meno giustificabile è quello zero alla casella vittorie contro Milan e Juve (mai l’Inter è riuscita a conquistare lo scudetto senza aver battuto almeno una volta una delle due grandi rivali in un campionato). Questo anche perché al quarto anno il 3-5-2 inzaghiano non ha più segreti per gli allenatori avversari che riescono sempre più spesso a trovare le contromisure per disinnescare la manovra nerazzurra.

 

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Inzaghi voleva un attaccante

L’allenatore può vantare un alibi incrollabile: aveva chiesto un attaccante in grado di saltare l’uomo e non è arrivato. Però resta la sensazione che a livello tattico l’Inter abbia esaurito la sua forza propulsiva, essendosi ormai cristallizzata su certezze ben radicate che funzionano in Europa - dove il livello di attenzione da parte della squadra è senz’altro più alto - un po’ meno in campionato. Vero è che Frattesi ha quasi sempre deluso quando è stato schierato titolare: però tra il formidabile incursore che si vede in Nazionale e l’abulico riservista nerazzurro ci passa un oceano e forse, al netto delle perplessità sul fatto di trattenerlo comunque ad Appiano a gennaio (quando magari al suo posto sarebbe arrivato un giocatore più funzionale) questo cortocircuito è motivato anche dall’idea che ormai ci sia un solco tra i titolari e le seconde linee, e questo non sia motivante per chi - al contrario - in Nazionale è un intoccabile. In Europa, a differenza di un anno fa quando Inzaghi gestì il girone con il turnover (finanche esagerato, come provò la panchina di Lautaro nella decisiva sfida con la Real Sociedad) Inzaghi ha messo tutti i titolari nelle ultime due gare. Questo ha assicurato all’Inter 6 punti fondamentali per piazzarsi nella top-4 europea ma, alla lunga, è stato pagato in campionato. Non è dato a sapersi se ci sia sotto una scelta strategica, ovvero puntare sull’Europa dove a tutti è rimasto sul groppo il ricordo della finale persa col City a Istanbul, ma puntare sulla Champions è tanto affascinante quanto rischioso, considerato che già la Supercoppa è sfumata (per di più contro il Milan...) mentre il quarto di Coppa Italia con la Lazio è pericolosamente collocato prima del match scudetto al Maradona col Napoli. A proposito: l’Inter - va ribadito - fa la corsa contro una squadra che non gioca nelle Coppe, un caso più unico che raro. E questo, qualora il Napoli dovesse riuscire a scucire dalle maglie nerazzurre lo scudetto, va comunque tenuto sempre in considerazione.

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Inter, da Riad a Torino: quanti backout

L’ammissione fatta da Henrikh Mkhitaryan dopo la sconfitta con la Juventus magari a qualcuno in società non sarà piaciuta ma ha fatto capire qual è il pensiero di molti all’interno dello spogliatoio: "Magari il problema è che, sapendo di essere molto forti, ci rilassiamo troppo ed entriamo in campo non concentrati, pensiamo di vincere le partite e alla fine invece paghiamo - ha sottolineato l’armeno -. Non ci sono mancanze fisiche o tecniche, forse è il fatto di essere forti che ci disturba: anche nel primo tempo con la Juve siamo stati “ingiocabili”, avremmo potuto segnare due-tre gol minimo". A essere narcisisti ci si scotta, nella vita e pure nello sport, difatti l’Inter ha regalato un tempo (il secondo e con esso il trofeo) al Milan in Supercoppa, un tempo - stavolta il primo - sempre al Milan nel derby di campionato, un tempo (il secondo - l’importante è saper differenziare...) alla Juve l’altra sera e, come se non bastasse, ha regalato una partita intera alla Fiorentina nel recupero di campionato. Blackout che mostrano come l’Inter - per dirla alla Conte - all’interno della partita non riesca a fiutare il pericolo. Oppure, ancora peggio, abbia scelto di concentrare ogni energia sulla campagna europea e viva il campionato come una pratica da poter svolgere azionando il pilota automatico, magari nella speranza di vincerlo ugualmente. Non è dato a sapersi invece se questi cali di concentrazione siano figli di una carenza di energie: certo è che è stato singolare vedere a Torino finire in panchina Bastoni e Dimarco dopo un’ora (tra l’altro il centrale è apparso sorpreso al momento della sostituzione), in tal senso - come sottolineato - certo non aiuta nei tempi di recupero l’età media molto alta della squadra.

Inter, difesa da rivedere. E Lautaro...

Di certo l’Inter dopo 25 giornate di campionato ha già subìto più gol (24 contro 22) rispetto al torneo scorso che sarà stato pure l’eccezione, ma questo non giustifica numeri tanto negativi soprattutto negli scontri diretti dove la supremazia che credono di avere i giocatori nerazzurri sulla concorrenza non si è mai vista o, se si è vista, è stata ben compensata da errori offensivi e orrori difensivi. Lautaro Martinez - non certo l’ultimo per impegno profuso in campo - a Torino ha vissuto una delle notti più nere nella sua parabola da capitano. Problema è che i gol, oltre a essere contati, vanno pure pesati e nelle grandi notti di campionato, con Napoli, Milan e Juve, l’argentino è a secco da oltre un anno, ovvero dal gol segnato proprio a Torino nell’1-1 del 26 novembre 2023 (quella è stata pure l’unica rete allo Stadium in carriera). E se non segna Lautaro e Marcus Thuram gioca per onor di firma - l’altra sera è apparso evidente che avesse il terrore di infortunarsi alla caviglia - è difficile cavare molto altro dall’attacco essendo l’evanescente Taremi la prima scelta nel mazzo. A complicare il day-after nerazzurro pure le immagini di Lautaro che, a fine partita, sembrerebbe pronunciare alcune imprecazioni blasfeme in preda al nervosismo. Per rendere punibile il giocatore serve però che le bestemmie siano comprovate anche da un audio in cui si sentano in maniera nitida. In tal senso si attende il pronunciamento della Procura Federale a cui tocca segnalare il caso al Giudice Sportivo.

 

 

 

 

 

 

 

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MILANO - La riconoscenza, nel calcio, si rivela spesso un peccato capitale. Se poi questa si lega a una campagna acquisti che ben poco ha impattato sul valore della squadra, la frittata è fatta. A Torino è andata in campo l’Inter dall’età media più alta dal 1994-95, primo campionato con i tre punti a vittoria: 30 anni e 306 giorni. Al contrario, mai - sempre da trent’anni a questa parte - nel derby d’Italia si era vista una Juve tanto giovane (25 anni e 8 giorni di età media). Questo dimostra perché si sia così ridotto il gap tra i campioni d’Italia e le rivali: la Juventus, ma pure Milan, Atalanta e Napoli, sul mercato si sono rinforzate e hanno ringiovanito organici lavorando soprattutto in prospettiva; Marotta ha regalato una “last dance” a chi aveva conquistato la seconda stella, probabilmente sottovalutando quanto sarebbe stata impattante per una squadra ormai logora in molti dei suoi senatori una stagione che presentava due gare in più in Champions League (e sarebbero state quattro se l’Inter non avesse concluso il girone nelle prime otto...) e una coda con il Mondiale per club, territorio inesplorato per tutti.

Inter, quanti errori sul mercato

Vero è che il cambio di proprietà estivo ha favorito l’idea di tenere tutti i migliori piuttosto che sacrificare uno o due big per finanziare il mercato. In estate, non va dimenticato, Oaktree ha avallato i rinnovi di Lautaro, Barella e Inzaghi tutti premiati con ingaggi top. Il problema è come sono state investite le poche risorse a disposizione. Buchanan, acquisto del gennaio scorso in anticipo sull’estate (quando, almeno, sarebbe arrivato da svincolato), si è rivelato non adatto al ruolo di esterno a tutto campo, mentre Palacios può essere certamente un giovane di buone prospettive ma oggi non serve all’Inter (e difatti è stato prestato al Monza per mettere minuti nel curriculum). Il peccato capitale riguarda Josep Martinez: in tempi di carestia si è rivelato un azzardo investire 15 milioni per un secondo portiere avendo già in rosa Sommer e la possibilità di piazzare alle sue spalle Filip Stankovic oppure tenere un altro anno Audero (che il Como ha acquistato per 6 milioni). L’ex numero uno del Genoa, tra l’altro, non deve aver stregato Inzaghi, considerato che finora si è visto soltanto in Coppa Italia.

 

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