Juve, la non biografia di Cristiano Ronaldo: dal mito all'intimo

Il fenomeno portoghese protagonista del nuovo libro di Fabrizio Gabrielli: "Una vita di splendore ma anche di zone d'ombra. Lui e Messi? Il loro spirito è il rincorrersi continuo, CR7 lo ha capito, l'argentino forse no"
Juve, la non biografia di Cristiano Ronaldo: dal mito all'intimo

Una storia intima, come racconta il sottotitolo del libro. È la strada che ha scelto Fabrizio Gabrielli per affrontare il tema Cristiano Ronaldo, una delle persone più esposte mediaticamente al mondo ma di cui, alla fine, si conosce per l’appunto ciò che trapela dai canali ufficiali. Per questo “Cristiano Ronaldo. Storia intima di un mito globale” è una non-biografia. «Ne esistevano già altre, molto ben fatte - osserva Gabrielli -, non aveva senso realizzarne un’altra. È’ un’analisi? Un’esegesi? Lo penso come un viaggio spelelogico all’interno di una vita e del riflesso che questa proietta all’esterno: splendore irraggiungibile ma anche zone d’ombra che lo rendono umano. Soprattutto da quando è a Torino».

Un viaggio che comincia dall’isola di Madeira, da Funchal.
«Madeira è un punto imprescindibile, ho voluto fare un viaggio fin là per colmare dei dubbi che avevo: volevo toccare con mano i luoghi dove CR7 è cresciuto. Visitare Funchal ti fa capire un sacco di cose, anchericredere su certi aspetti. Si tende a pensare che sia un posto votato al suoi culto, alcuni luoghi se alcuni sono veramente mistici. Sono stato a Fatima, respiri un’aria simile nel museo di Ronaldo. Poi, prima del libro, ero stato a Madrid nell’ottobre del 2018. Al Bernabeu c’era un’atmosfera strana: lui era molto presente a livello iconografico, anche se era andato via. Non era semplice rimuovere quella impronta».

Un Ronaldo che va sempre alla ricerca di una figura paterna.
«A Manchester tutti pensano a Ferguson, ma Queiroz è stato lo scoglio cui aggrapparsi, mentre Meulensteen lo ha trasformato in un giocatore spietato. Poi Ferguson lo ha reso uno dei motori propulsori della sua rivoluzione, ha indirizzato il suo egocentrismo: lo controllava anche quando sembrava sfuggirgli. A Madrid è stato invece scontro con Perez. È diventato inimitabile in Champions, raggiungendo livelli che neppure lui immaginava, ma patendo la mancanza di appoggio del presidente. E l’addio non poteva che essere quello: al culmine, teatrale, molto studiato».

Invece la madre è ben presente.
«Dolores è un personaggio clamoroso, la voce degli umori di Cristiano, una cosa che trovo molto dolce. CR7 è sposato con la sua famiglia e con l’isola di Madeira, che è il luogo cui appartiene realmente».

Nel libro ha spazio ampio la rovesciata di Torino alla Juventus.
«Quell’istante, quel fotogramma ha definito la sua figura. Lo ha detto anche nell’ultima intervista a France Football: «È il mio gol più bello». Quella sera abbiamo capito che cosa possa raggiungere l’atletismo spinto. Lui ha realizzato raramente quel gesto, mai così compiuto e perfetto. Non fa parte del suo bagaglio: non è potenza come è Ronaldo. È stata tale la percezione collettiva di quel gesto da spingere uno stadio avversario ad applaudire. Non è da tutti i giorni, richiede che a monte ci sia qualcosa di pazzesco. Come il gol in terzo tempo di testa alla Roma, che ho visto di persona: è stata come un’epifania, ti devi ritenere fortunato quando sei presente».

A proposito di fortuna: ci renderemo mai conto di aver vissuto un’epoca dominata non da uno, ma da due geni del calcio come CR7 e Leo Messi?
«Penso che ne siamo coscienti, sarebbe un errore non goderci questa compresenza e trovare a tutti i costi una supremazia dell’uno o dell’altro. Lo spirito è il loro rincorrersi continuo. CR7 è più cosciente di questo, Messi non molto. O, forse, non è molto contento».

Torino è stata una scelta logica e naturale?
«Lo è logica per come si è calato nel terzo campionato per livello in Europa, con la volontà di essere competitivo e con una sfida sottesa a Messi, che non si è mai mosso da Barcellona. L’Italia era un territorio potenziale e per una serie di ragioni, a partire dall’appeal commerciale, Torino e la Juve erano l’unico punto di approdo, in continuità con quello che sta facendo: c’è stato un ridimensionamento della sua regalità, farlo in una città sabauda è coerente. A Torino porta avanti il discorso di umanizzazione del personaggio. Ho trovato molto furbo, ma coerente, che abbia fatto la sua ultima intervista fatta su terrazzo da cui si vede la città. Torino potrebbe anche essere l’ultimo contesto in cui lo vediamo in campo, l’immagine con cui CR7 ci saluta».

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