Chiellini ha detto dove ha fallito Sarri (ma non tutti l'hanno capito)

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Chiellini ha detto dove ha fallito Sarri (ma non tutti l'hanno capito)© www.imagephotoagency.it

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C'è un passaggio della conferenza di Giorgio Chiellini nella quale c'è il succo della vicenda di Maurizio Sarri alla Juventus. E non è quello che hanno commentato tutti, nel quale il capitano bianconero accarezzava l'ormai ex allenatore con complimenti e riconoscimenti postumi. E' una frase buttata lì, in mezzo a un discorso più ampio, ma affilata come un bisturi: «Se io domani dovessi fare l'allenatore della Juventus, mi mancherebbero tutte le basi, ma conosco bene tutte le persone che mi circondano e così Pirlo». Sdeng!
Sarri è stato esonerato dalla Juventus perché non ha capito la Juventus, intesa come insieme di persone che vanno dai giocatori ai dirigenti. Chiellini, voce della squadra, non mette dunque in discussione le questioni tecniche, ma tutto il resto. Poi ci possono essere i retroscena boccacceschi, gli intrighi, le dietrologie, ma il succo è quello: non sono state messe in discussione le questioni tecniche, ma le relazioni umane, nelle quale - evidentemente - Sarri ha fallito.
Lo si era capito anche dalle parole di Fabio Paratici, che a poche ore dall'esonero diceva di Sarri: «Ha vinto subito, ma c'è un insieme di cose che va al di là di un mero risultato sportivo» e diceva di Pirlo: «Le persone sono più importanti del professionista».
Quindi, esattamente, cosa ha sbagliato Sarri?
Forse il modo di porsi, irrituale per l'ambiente juventino, forse troppo brusco e diretto, forse poco propenso al confronto individuale, forse troppo incline a incupiti silenzi. Nessuno di noi era negli spogliatoi e quelli che c'erano parlano per allusioni. Qualcosa, però, non ha funzionato e il progetto tattico dell'allenatore si inceppato per colpa di una non totale adesione da parte della squadra. Come aveva detto Pjanic, qualche minuto dopo il fischio finale di Juventus-Lione: «Per il modo di giocare del mister, pensando al suo Napoli, tutti erano coinvolti nel suo modo di giocare. Mentre quest’anno abbiamo avuto delle difficoltà, l’abbiamo visto».
Chiariamo subito un concetto: la rivoluzione tattica di Sarri non era impossibile, non si trattava di praticare un altro sport, ma di modificare l'atteggiamento in campo e cambiare il modo di muoversi. Il nocciolo della questione, però, era uno sforzo maggiore da parte di tutti, sia a livello mentale (più concentrazione) sia a livello fisico (più sacrifici, soprattutto da parte degli attaccanti). Anche se tatticamente è un discorso completamente diverso, quello che chiedeva Sarri era uno sforzo simile a quello richiesto, e ottenuto, da Antonio Conte al suo primo anno: correre un po' di più, sacrificarsi un po' di più, ragionare come squadra e non come individui.
Perché Sarri non ci è riuscito? Per due ragioni. La prima è una questione oggettiva: il gruppo che ha ereditato veniva da 8 scudetti consecutivi e un ciclo di successi, aveva dunque consolidato dentro di sé l'idea di conoscere bene la strada verso il successo, per metterla in discussione e cambiarla bisognava avere ottimi argomenti. E qui veniamo alla questione soggettiva: Sarri non è riuscito a convincere la squadra, non ha trascinato i giocatori nel suo sogno calcistico, non li ha stregati con la sua visione, non ha trovato una chiave didattica avvincente. Questo perché non è mai riuscito a infrangere lo spesso strato di diffidenza che lo separava dallo spogliatoio come un cristallo e, forse, ha sottovalutato il problema, abbagliato dalla professionalità con cui la squadra è sembrata rispondergli all'inizio. Ma un conto è l'eseguire freddo del compitino, un'altra è l'interiorizzare quel calcio e metterlo in pratica con passione. E senza un'adesione totale, quasi fideistica, nel progetto tattico, il calcio di Sarri appassisce, perde senso, finisce per incepparsi come accaduto nei ripetuti blackout della stagione. Insomma, per certi versi era più semplice il compito di Conte nel 2011, quando prese una rosa decisamente meno forte, ma anche un gruppo che, senza più certezze e convinzioni, era pronto ad accoglierlo come un profeta. Per contro Sarri non ha avuto la bravura di Conte nel motivare il gruppo e portarselo dietro di sé, cosa che, peraltro, gli era successa anche a Londra con il Chelsea (il che fa pensare, perché gli ultimi due addii del tecnico hanno molti punti in comune sul fronte dei rapporti umani con lo spogliatoio). Creare rapporti con giocatori di alto livello è certamente più difficile: hanno più personalità, più ego, più struttura intorno (alcuni sono aziende da centinaia di milioni), bisogna trovare una chiave e non tutti ci riescono.
Sempre più spesso non sono le idee tattiche a distinguere gli allenatori di successo, ma la loro capacità di coinvolgere la squadra nell'applicazione delle loro idee che altrimenti rimangono vuote. Klopp ha una filosofia di gioco diversa da Zidane che è diversissimo da Guardiola e che non c'entra niente con Flick che, a sua volta, non ha niente a che vedere con Allegri o Conte: se si cerca un filo conduttore degli allenatori di grandi club più vincenti del decennio, è tutto nella loro capacità di prendere una rosa, trasformarla in una squadra e farsi seguire con cieca dedizione, non importa quale sia la strada scelta. Il resto sono concetti astratti con cui si gongolano i nerd delle lavagne tattiche.

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