Ripassiamo la lezione di Scirea

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Ripassiamo la lezione di Scirea

Buongiorno amiche e amici di Tuttosport

Oggi sono passati 31 anni senza Gaetano Scirea. Alle 12.50 del 3 settembre 1989 su un'infame strada polacca. Era lì per lavoro, il lavoro di viceallenatore della Juventus al servizio di uno degli amici più cari che avesse, Dino Zoff, che era il titolare della panchina. Scirea era in missione per andare a vedere la partita degli avversari dei bianconeri nel primo turno di Coppa Uefa, il Gornik, squadra di minatori slesiani. Scirea era andato per vedere la partita di campionato in casa del Lodz. Sabato sera si era fermato a dormire a Lodz, domenica mattina aveva fatto colazione, una breve passeggiata. Poi, la partenza verso Varsavia, da dove, con scalo a Vienna, sarebbe tornato in area a Torino, dov'era atteso per le quattro e mezza del pomeriggio. Scirea viaggiava su quella che aveva la denominazione di autostrada, ma era una striscia d'asfalto a corsia unica, costruita ai tempi di Breznev, piena di buche e con lunghi tratti di lavori in corso. Il mezzo era una 125 Polski, appartenente all'associazione delle miniere della Slesia, insieme ai dirigenti e una interprete. Pioveva. Il tempo stringeva. L'autista aveva fretta e non ha esitato a sorpassare due tir senza valutare correttamente il pericolo. E così non riusciva a vedere il furgone Zuk sull'altra corsia, occupata per l'azzardato sorpasso. L'impatto è mortale, perché l'urto manda in fiamme le taniche di benzina che nel timore di restare a secco l'autista ha messo nel bagagliaio. Abitudine allora molto diffusa in Polonia dove il carburante scarseggiava e, per evitare lunghe code ai distributori, molti automobilisti portavano, incuranti del tremendo pericolo, una loro scorta. «Siamo scossi, forse è colpa di un errore del nostro autista, risarciremo», furono le parole del presidente del Gornik, scioccato per la tragedia. Gaetano Scirea venne dichiarato clinicamente morto nella sala di pronto soccorso dell'ospedale di Rawa Mazowiecka, l'incidente era stato nei pressi di Babsk. Nel tremendo impatto, insieme a Scirea, morirono l'interprete ventisettenne e l'autista. Il quarto passeggero, un dirigente polacco, se la cavò con qualche ferità. Nell'incidente era stato sbalzato dall'abitacolo dell'auto, preservandolo dal rogo. La notizia rimbalza in Italia attraverso la televisione: è domenica sera, sta andando in onda la Domenica Sportiva, quando il giornalista Sandro Ciotti, che stava conducendo la più popolare delle trasmissioni sportive, interruppe la scaletta per dare agli italiani il tremendo annuncio. Marco Tardelli è in studio, non riesce a parlare, è pietrificato sulla sua sedia e appena riesce a connettere, si alza e scappa a Torino da Mariella che per un disegno del destino ha la televisione rotta e non ha assistito all'annuncio di Ciotti. Lo ha sentito, purtroppo, il figlio Riccardo che aveva 10 anni ed era al mare con i nonni, aspettando di vedere in tv i gol della Juventus.

Oggi sono passati 31 anni ed è bellissimo percepire la vitalità del ricordo e l'importanza di Scirea, che con la sua umanità e il suo esempio ha sconfitto anche la sua assenza.

Perché Scirea era uno sportivo. Senza andare a cercare definizioni troppo altisonanti, questa è quello che racchiude meglio l'essenza di Gaetano. Era una persona consapevole dei valori dello sport, li aveva sposati con naturalezza e li portava in giro per il mondo. Con il suo sorriso, con il rispetto di qualsiasi avversario e di qualsiasi compagno, con il garbo nel rivolgersi a chiunque, con la capacità di saper vincere, che non vuol dire mai sentirsi superiori, e quella di saper perdere, che significa imparare dagli errori.

Perché Scirea era un uomo vero. Non si è mai nascosto dietro alibi, non ha mai esibito falsi pudori. E' andato avanti per la sua strada, rimuginando dubbi ma stando lontano dalle ossessioni, amando e facendosi amare e tenendo sempre, costantemente, i piedi per terra. Non dimenticandosi mai, cioè, che suo papà e sua mamma si spezzavano la schiena in fabbrica per un millesimo del suo stipendio e, quindi, meritavano più ammirazione e rispetto di quanto ne meritasse lui che, in fondo, giocava a pallone.

Perché Scirea era un campione. Le qualità umane non devono distrarre dal calciatore, perché in fondo è una parte importante del perché lo ricordiamo ancora oggi. Scirea era un fenomenale calciatore, precursore di un calcio che viviamo oggi. All'anagrafe calcistica era "libero", quello che oggi si definirebbe difensore centrale, e aveva strepitose capacità di lettura, anticipo e marcatura. Ma poi avanzava e allora lo trovavi agora da mezzala, meglio delle mezzali, o lo pescavi in area e segnava gol con movimenti da centravanti. Era un giocatore universale, dotato di intelligenza calcistica superiore e una tecnica di base eccellente, grazie alla quale non gli mancava nessun fondamentale.

Sono passati 31 anni, il dolore si è stemperato nella dolcezza dei ricordi ed è diventato bello ritrovarci qui, ogni 3 settembre, a ricordare e ricordarci chi era Gaetano Scirea.

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