Champions: alla Juve mancano tre coppe, non il DNA europeo

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Champions: alla Juve mancano tre coppe, non il DNA europeo

Care amiche a cari amici di Tuttosport,

Chiamatela Champions League o Coppa dei Campioni, mette comunque ansia al popolo juventino. Lo sa bene Massimiliano Allegri, tanto che si era messo in testa di normalizzare l'atteggiamento psicotico dell'ambiente bianconero nei confronti della competizione, frutto di tre fattori: 1) il numero oggettivamente considerevole di finali perse (7 su 9) che, a sua volta, ha generato: 2) una narrazione sbagliata e 3) un tema di urticante efficacia per i non juventini. Il tutto ha poi creato l'assunto che la Juventus non ha un DNA europeo, che di per sé non significa molto fin nella sua enunciazione. Cos'è, infatti, il DNA di una squadra? Come si fa a pescarlo fra cicli con giocatori, allenatori e dirigenti diversi? Per essere più concreti: qual è l'elemento comune fra la Juventus sconfitta in finale dall'Amburgo nel 1983 e quella che ha perso a Cardiff nel 2017? La maglia (bianconera in entrambe le finali) e la proprietà (rappresentata comunque da persone diverse), tutto il resto era diverso. Non può esserci un filo conduttore tecnico in 62 anni di Juventus europee: non ha nessuna logica associare periodi storici lontani fra di loro.

Ma allora perché la Juventus ha solo due coppe nonostante abbia avuto cicli con formazioni fortissime e alcuni fra i migliori giocatori del mondo? Fondamentalmente perché ha perso tre finali contro squadre più deboli (più una ai rigori con una squadra di forza equivalente): nel 1983 contro l'Amburgo ad Atene, nel 1997 contro il Borussia Dortmund a Monaco di Baviera e nel 1998 ad Amsterdam contro il peggior Real Madrid che abbia mai alzato una coppa. Con quelle tre vittorie e un pizzico di fortuna in più a Manchester contro il Milan nel 2003, la Juventus avrebbe 6 Champions League in bacheca e si racconterebbe un'altra storia, certo non quella del Real, ma qualcosa di più simile a quella del Bayern Monaco. Tre partite sbagliate e una sequenza rigori sfortunata possono definire il DNA non europeo di una squadra? Forse è un po' poco. Ma ormai è così: i tifosi della Juventus credono al distorsivo racconto della mancanza di mentalità europea e, in qualche modo, l'ambiente stesso è permeato da questa idea. Idea che viene contrastata dai numeri che descrivono un'altra realtà. Perché una squadra senza DNA europeo non può raggiungere 6 finali in 24 anni (che peraltro ne comprendono uno in Serie B e quelli della difficile ricostruzione post Calciopoli). Perché una squadra senza DNA europeo non può essere quinta nella cosiddetta classifica perpetua della Champions League (ovvero quella che conta i punti ottenuti in ogni singola partita) dopo Real Madrid, Bayern Monaco, Barcellona e Manchester United e davanti al Milan (sesto) e l'Inter (quattordicesima). Certo, è un modo scorretto di analizzare i numeri di un torneo che si basa sull'eliminazione diretta (le classifiche sono comunque compilate dall'Uefa, ndr), ma è una mappa statistica che riposiziona la Juventus nelle prime cinque d'Europa con una media punti di 1,75 non distantissima dall'1,90 del Real.

Fino al confine? No, se proprio deve esserci una parodia del motto bianconero sarebbe più adatto: Fino alla finale. Perché resta, indubbiamente, il palmares scarno e questo inchioda la Juventus alla sua ossessione per la Coppa dalle grandi orecchie. Ma il luogo comune della Juventus poco adatta alle coppe, vincente solo in Italia e, soprattutto, senza DNA europeo dovrebbe essere abbandonato dall'ambiente bianconero, come primo passo verso l'abbandono di certe ansie senza dubbio inutili.

PS Si dice che la maledizione europea della Juventus sia iniziata nel 1958, quando una delle formazioni bianconere più forti di sempre si buttò via nel primo turno di Coppacampioni perdendo 7-0 a Vienna contro lo Sporting Wiener. Circola addirittura una frase, fasulla, di Gianni Agnelli che recita: «Sivori non stravedeva per la Coppa dei Campioni. E difatti trovò il modo di marinare Vienna». In realtà Sivori a Vienna c'era, ma è vero che non ha mai gradito più di tanto le, allora scomodissime al limite dell'avventuroso, trasferte internazionali, impegnandosi sempre pochino in quell'ambito. E, considerato il peso specifico di Sivori in quella squadra, è un po' come se adesso Cristiano Ronaldo snobbasse il Ferencvaros per concentrarsi sulla Lazio di domenica. E' vero, invece, che Sivori saltò la trasferta a Sofia nel 1960: un'altra sonora sconfitta (4-1) che costò la seconda eliminazione al primo turno per la Juventus. Tuttavia fu l'autore del gol con cui la Juventus, per prima in Europa, espugnò il Santiago Bernabeu, battendo 1-0 il Real Madrid di Alfredo Di Stefano nel 1962: se il palcoscenico era esaltante, insomma, il Cabezon si impegnava. Cristiano Ronaldo, per fortuna di Pirlo, si gode anche i gol contro lo Spezia, figuriamoci quelli contro il Ferencvaros.


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