Juventus-Napoli 3-0: la sentenza spiegata. «Non ci si fa le regole da soli»

E' una sentenza esemplare che vuole togliere qualsiasi possibilità di non applicare il Protocollo, di cui diventa un baluardo giuridico. Ma il comportamento del Napoli viene aspramente condannato e viene tagliata la strada anche ai prossimi ricorsi
Juventus-Napoli 3-0: la sentenza spiegata. «Non ci si fa le regole da soli»© ANSA

TORINO - E' dura, anzi durissima la sentenza che respinge il ricorso del Napoli. Senza dubbio più severa di quella del primo grado di giudizio, perché non solo il Tribunale d'appello Federale ribadisce il 3-0 a tavolino contro il Napoli e il punto penalizzazione, ma il giudice Piero Sandulli, castiga tutti i comportamenti della società di Aurelio De Laurentiis e li condanna aspramente, con richiami continui alle regole fondamentali dello sport, che vengono citate proprio al principio della sentenza. «Preliminarmente, si intende ribadire, anche in questa sede, un principio, più volte affermato dal Collegio di Garanzia dello Sport del CONI (cfr., da ultimo, decisione n. 56/2018), ovvero che “il fine ultimo dell’ordinamento sportivo è quello di valorizzare il merito sportivo, la lealtà, la probità e il sano agonismo».

E il riferimento a una decisione del Collegio di Garanzia dello Sport del Coni non è casuale, visto che è proprio lì che il Napoli dovrebbe ricorrere nel prossimo grado di giudizio.


IL PROTOCOLLO - D'altra parte, tutta la sentenza, oltre a smontare punto per punto i tentativi del Napoli di dimostrare la propria tesi, è orientata alla difesa del Protocollo Figc-Governo del quale diventa un poderoso baluardo giuridico. Nella parte finale della sentenza, infatti, Sandulli scrive:

«Al proposito, questa Corte non può non evidenziare come l’eventuale condivisione della tesi propugnata dalla Società ricorrente porterebbe, inevitabilmente, a frustrare, totalmente, la motivazione posta a fondamento dei Protocolli federali in tema di gestione delle gare e degli allenamenti delle squadre professionistiche di calcio in tempo di COVID-19, ovvero quella di consentire, seppure nella criticità della situazione determinata dall’emergenza sanitaria, di svolgere e portare a termine il Campionato di Calcio di Serie A».

Cioè: se ognuno interpreta a modo suo il protocollo, il campionato non finisce, con tutte le conseguenze del caso. E ancora, sempre nella parte finale della sentenza, c'è un altro schiaffo al Napoli che idealmente viene dato in nome di chi il protocollo lo ha sempre rispettato, giocando anche con più di due giocatori positivi:

«Peraltro, questa Corte non può esimersi dall’evidenziare che il comportamento tenuto dalla Società ricorrente non risulta neanche rispettoso degli altri consociati dell’ordinamento sportivo, più precisamente delle altre Società di calcio professionistico di Serie A, che in situazioni del tutto analoghe a quella in cui si era venuta a trovare la Società S.S.C. NAPOLI S.p.A. nei giorni antecedenti l’incontro di calcio di cui è procedimento (ma, in alcuni casi, anche ben più critiche), hanno, regolarmente, disputato gli incontri che le vedevano impegnate».


LE ASL - In merito alle specifiche tematiche del ricorso, poi, il giudice ha ribadito, con maggiore veemenza, ciò che era stato scritto in primo grado. Ovvero che il Napoli non voleva disputare la partita e che il comportamento del club era teso «per così dire, a creare un “alibi” per non giocare». Infatti viene sottolineato come la ASL1 aveva, nella sua prima comunicazione, spiegato che c'era un protocollo e stava al Napoli applicarlo. Si rivolta contro il Napoli, quindi, il carteggio con le ASL, prodotto dal club sia in primo che secondo grado. Sandulli entra ancora più duro.

«La ragione per la quale una Società di calcio professionistico, ben consapevole del contenuto dei Protocolli federali in materia di gestione delle gare e degli allenamenti in tempo di COVID-19, per averli applicati più volte, debba chiedere lumi sulla loro applicazione alle Autorità sanitarie è difficile da comprendere e a tale condotta non può che attribuirsi altro significato che quello della volontà della Società ricorrente di preordinarsi una giustificazione per non disputare una gara che la Società ricorrente aveva già deciso di non giocare».

Come dire: avete il protocollo, lo sapete applicare, perché questa volta vi mettete a parlare con le ASL se non per costruire l'alibi per non presentarsi a Torino?


ANNULLATI VOLI E TAMPONI - Peraltro emerge dalla sentenza che il Napoli non aveva solo annullato il charter per Torino nel giorno precedente, ma anche «la prenotazione dei tamponi che avrebbero dovuto effettuarsi, secondo le previsioni del Protocollo, nella giornata di svolgimento della gara); comportamenti, questi ultimi, che, contrariamente a quanto affermato dalla Società ricorrente, non sono, affatto, irrilevanti». Subito dopo il giudice stronca l'invocata causa di forza maggiore: «il soggetto che si sia posto, volontariamente e preordinatamente, nelle condizioni di non fare una cosa, non può, poi, invocare, a propria scusante, la sopravvenienza di una causa successiva, peraltro per nulla autonoma rispetto alla condotta posta in essere dalla Società ricorrente».


ULTIMO SCHIAFFO - A proposito, poi, delle osservazioni del Napoli sul Protocollo che sarebbe stato scritto quando la pandemia viveva un momento meno grave, il giudice richiama in modo severissimo il club: «Disquisire, poi, come fa la Società ricorrente, sul fatto che tali Protocolli siano stati elaborati in un momento (la scorsa primavera) nel quale la diffusione del virus COVID-19 sembrava in netta riduzione, mentre l’incontro di calcio di cui è procedimento si sarebbe dovuto disputare in un momento in cui la pandemia aveva ripreso tutta la sua virulenza, non ha alcuna rilevanza atteso che anche i soggetti dell’ordinamento sportivo, come tutti i consociati, non sono legittimati a “farsi le regole da soli” ma sono tenuti a rispettare quelle fissate dalle Autorità federali competenti che, sole, possono modificarle al mutare delle situazioni di fatto che ne avevano giustificato l’adozione e i relativi contenuti». E con quel «farsi le regole da soli» risuona durissimo in una sentenza esemplare, perché esemplare doveva essere.

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