Superlega: Juve, autolesionismo da evitare

Superlega: Juve, autolesionismo da evitare© ANSA

La vicenda Superlega, sbagliata nei tempi e discutibile nei principi, rischia adesso di avere conseguenze ancora più gravi del primo atto. La Juventus, unica squadra italiana rimasta nella ESL, la società che riuniva le iniziali 12 secessioniste, si trova di fronte al pericolo di un’esclusione dalla Champions inflitta dagli organi disciplinari della Uefa. Non si scherza.

Va detto che in questa vicenda molti sono i torti, da entrambe le parti, e poche le ragioni, perché ognuno ha pensato al proprio orto, arrivando alla guerra violenta di oggi. Per i club dissidenti è stata una mossa disperata per uscire dai debiti, non solidarietà verso la base della piramide e altre cose dette nei comunicati, ma per Uefa è diventata ora una rivendicazione di centralità politica ed economica, una difesa delle istituzioni dietro cui si cela una evidente, visibile sete di vendetta. Bisogna vincere, mai stravincere, monito che persino Ceferin dovrebbe tenere a mente in una fase di probabile onnipotenza. Ha avuto l’opinione pubblica e governi centrali dalla sua, può girare la testa, ma nemmeno questo consente rappresaglie e regolamenti di conti. Non può fare Napoleone esattamente come non poteva pretendere di esserlo Fiorentino Perez un mese fa, trasformando un gioco secolare di milioni di persone in una ditta personale.

A proposito di Perez, si ha la netta impressione che il braccio di ferro con la Uefa lo stia portando avanti lui, soprattutto lui, il motore della separazione fin dal primo minuto. Il Barcellona si sta via via raffreddando, fino a sfilarsi forse a breve, mentre la Juve mantiene il patto di lealtà con il gran capo del madridismo. È giusto? Ha senso? Sicuramente, salvo elementi che a noi sfuggono, rischia di essere una decisione autolesionista, perché un torneo con due o tre squadre non si potrà mai organizzare e un’esclusione dalle Coppe getterebbe il club bianconero in una situazione più complicata e sofferta dell’attuale, già di suo non rosea. Insomma, il patto con Florentino ha un costo sin troppo elevato per Andrea Agnelli, il quale sulla Superlega si è giocato la poltrona di numero 1 dell’Eca, il legame con Ceferin, nonché una fetta notevole della grande credibilità internazionale conquistata in questi dieci anni. Forse basta con il masochismo. La sferzante ironia dei giornali francesi e inglesi, al di là del solito e stucchevole sciovinismo, deve far riflettere. Rischia di passare lui come il simbolo di una pagina che ha riguardato almeno 12 proprietà europee.

Uscire da questa impasse è ora la vera sfida manageriale della Juve e di Agnelli. Ma una soluzione andrà trovata. O in una mediazione, per esempio agevolata da qualche figura esterna alla partita e rispettata da tutti (Rummenigge, per buttare lì un nome), o in un arretramento dalla propria posizione. La terza ipotesi è quella di un estenuante, infinito percorso di cause e ricorsi in sede europea e in Svizzera, dall’esito non prevedibile, ma sicuramente dai costi enormi. Sia in termini societari che personali. Come è stato ribadito ieri dalle tre società rimaste, Ceferin non può minacciare, perché il linciaggio non appartiene allo stile e alla tradizione delle istituzioni dello sport. Ma visto il momento, ha ancora senso rimanere sull’isola come ultimi giapponesi rimasti a combattere una battaglia chiusa dopo 48 ore di cannoneggiamenti? Ognuno risponde alla propria coscienza, per carità, ma in questo caso ci sono di mezzo la Juventus, i suoi azionisti in Borsa, i milioni di tifosi. Speriamo che venga presa la decisione migliore e che questa brutta storia finalmente si chiuda.

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