Juve, Allegri tra meriti e colpe: l’analisi di una stagione di ricostruzione

La fuga di Ronaldo a fine agosto e il ko di Chiesa hanno tolto gol, la squadra è comunque cresciuta
Juve, Allegri tra meriti e colpe: l’analisi di una stagione di ricostruzione© Juventus FC via Getty Images

TORINO - Divideva i tifosi bianconeri quando inanellava Scudetti e sfiorava la Champions, Massimiliano Allegri, figurarsi dopo una stagione in cui la Juventus ha semmai sfiorato la lotta Scudetto e abbandonato la Champions agli ottavi. Così, alla fine della prima annata dedicata alla costruzione di un nuovo ciclo vincente, il tecnico livornese è al centro del dibattito tra gli juventini, di certo quello che suscita più discussioni tra gli allenatori delle squadre piazzate nelle posizioni di classifica che portano a un posto in Europa. Abbiamo provato ad analizzare cosa ha funzionato e cosa no in questa stagione. Non a caso prima della finale di Coppa Italia, partita secca che può essere influenzata da tanti fattori casuali.

Allegriana a metà

«Mi piacerebbe continuare a vedere nella squadra quella capacità che Massimiliano le ha sempre dato, di passare anche mezzora in difficoltà e poi in 10 minuti tritare una partita». Maurizio Sarri, erede di Allegri sulla panchina della Juventus dopo l’addio del 2019, nel giorno della propria presentazione rispose così a chi gli chiedeva quale qualità della Juventus del suo predecessore gli sarebbe piaciuto vedere nella sua. Quel desiderio di Sarri fotografa bene la cosa che è riuscita meglio ad Allegri in questa prima stagione della sua seconda era bianconera - ricostruire la capacità di soffrire - e anche quella che invece non gli è riuscita - ricostruire la capacità di tritare la partita. Anche, anzi, soprattutto per la mancanza di uomini in grado di farlo, perso Cristiano Ronaldo all’ultimo giorno di mercato e ottenuto Dusan Vlahovic a gennaio, dopo aver nel fratempo perso Federico Chiesa. Ma non solo per quello.

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Cosa non ha funzionato

Sintetizzando in tre punti ciò che ad Allegri non è riuscito appieno in questa stagione, questo è il principale. Alla Juventus in certe partite è mancata la personalità per raccogliere quanto seminato. La convinzione e la consapevolezza necessarie a vincerle dopo aver fatto il necessario per riuscirci. Partite come quelle del girone di ritorno contro Atalanta, Torino e Inter e i due confronti con il Villarreal, per citare cinque esempi che avrebbero potuto cambiare la stagione, la Juventus a un certo punto le ha avute in mano, più o meno a lungo, per la prestazione che stava esprimendo o per risultato che stava maturando: una vera Juventus allegriana avrebbe stretto il pugno e non se le sarebbe lasciate sfuggire, quella attuale ne ha perse due (Villarreal al ritorno e Inter) e pareggiate tre. Specialmente contro l’Inter ha pesato anche la sfortuna, con una traversa, un palo e una decisione abbastanza incomprensibile del Var sul rigore non concesso a Zakaria, ma non può essere solo il caso a spiegare questa lacuna (anche perché ci sono altri esempi, tipo il pareggio di Venezia), così come le zero vittorie contro le prime tre della classifica. Oltre alle lacune in attacco sottolineate anche da Nedved venerdì sera prima della partita contro il Genoa, a questa Juventus sono mancate la cattiveria e la sicurezza della squadra vincente: «Anche mentre la mettevi in difficoltà - proseguiva il citato discorso di Sarri - avevi un retropensiero... “ma tanto poi si perde”». A contribuire a questa incapacità di infliggere il colpo del ko, come già sottolineato, sono state le lacune dell’attacco e di un centrocampo con un solo giocatore abile negli inserimenti, Weston McKennie. Giocatore che Allegri ha inizialmente faticato a inquadrare: tanto che il texano ha iniziato in panchina le prime due partite di Champions e quelle con Milan, Sampdoria e Roma in campionato. Col passare delle settimane il tecnico è riuscito a inserirlo progressivamente e a beneficiare delle sue incursioni offensive che avrebbero però potuto essere preziose prima. E che lo sarebbero state fino alla fine se Allegri non lo avesse perso per la frattura del piede riportata all’andata contro il Villarreal. Se i gol segnati sono un limite tuttora, sono stati quelli subiti il grande problema bianconero di inizio stagione, costando punti fondamentali nelle prime tre partite. Gli errori grossolani alla base dei gol di Udinese e Napoli alla 1ª e alla 3ª giornata hanno ricordato i quattro veri e propri assist forniti dai giocatori bianconeri agli avversari nella seconda parte della passata stagione (Kulusevski contro Torino e Lazio, Bentancur contro il Porto, Arthur contro il Benevento). Troppi per non essere frutto di scarsa concentrazione e di un approccio sbagliato alle partite. Mentalità che Allegri non è riuscito a cambiare prima dell’inizio della stagione.

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Cosa ha funzionato

Mentalità che però il tecnico ha cambiato dopo poche settimane, al netto delle ricadute contro Sassuolo e Verona. Tanto che, se si cancellassero le prime quattro giornate, la Juventus oggi sarebbe a 3 punti dal Milan, nonostante la sconfitta con il Genoa. La squadra bianconera ha ritrovato la capacità di restare sempre dentro la partita, aggrappata a essa e al risultato anche nei momenti di sofferenza (il finale di Marassi non fa testo, a obiettivo di campionato ormai raggiunto e con la finale di Coppa Italia in arrivo). Mentalità che ha permesso di ritrovare continuità di risultati, subendo una sola sconfitta in campionato (contro l’Inter il 3 aprile) tra dicembre e maggio. Una continuità dovuta anche alla solidità difensiva progressivamente trovata da Allegri. Solidità parzialmente venuta meno dopo la sconfitta contro l’Inter che, escludendola dalla lotta Scudetto, ha avuto un certo contraccolpo sulla squadra bianconera, ma che è stata basilare nella risalita che ha portato la Juventus dal settimo posto occupato a dicembre al quarto ormai aritmetico, dopo essere stata a un passo dal rientrare nella corsa al titolo. Frustrato a livello di finalizzazione, l’altro aspetto in cui Allegri è riuscito nella costruzione della sua Juventus è la capacità di cambiare pelle a seconda di partita e avversario, variando moduli e interpreti. Mettendo ad esempio in difficoltà l’Inter nella sfida del 3 aprile con un 4-2-3-1 con Cuadrado, Dybala e Morata alle spalle di Vlahovic, alternando l’impostazione dalla difesa a due o a tre, cambiando numero e funzioni dei centrocampisti.

Primo passo

Alla fine, perso improvvisamente un giocatore da 0,83 gol a partita in Serie A a campionato appena iniziato, CR7 ovviamente, perso a gennaio Chiesa, Allegri ha comunque raggiunto a tre giornate dalla fine lo stesso quarto posto ottenuto dalla Juventus all’ultimo respiro nella passata stagione. Un risultato arrivato attraverso una progressiva crescita nell’efficacia della squadra, resa evidente dalla risalita in classifica, che rappresenta il primo passo verso il compimento della missione che la società gli ha affidato e che, proprio in virtù di quella crescita, resta ben salda nelle sue mani.

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TORINO - Divideva i tifosi bianconeri quando inanellava Scudetti e sfiorava la Champions, Massimiliano Allegri, figurarsi dopo una stagione in cui la Juventus ha semmai sfiorato la lotta Scudetto e abbandonato la Champions agli ottavi. Così, alla fine della prima annata dedicata alla costruzione di un nuovo ciclo vincente, il tecnico livornese è al centro del dibattito tra gli juventini, di certo quello che suscita più discussioni tra gli allenatori delle squadre piazzate nelle posizioni di classifica che portano a un posto in Europa. Abbiamo provato ad analizzare cosa ha funzionato e cosa no in questa stagione. Non a caso prima della finale di Coppa Italia, partita secca che può essere influenzata da tanti fattori casuali.

Allegriana a metà

«Mi piacerebbe continuare a vedere nella squadra quella capacità che Massimiliano le ha sempre dato, di passare anche mezzora in difficoltà e poi in 10 minuti tritare una partita». Maurizio Sarri, erede di Allegri sulla panchina della Juventus dopo l’addio del 2019, nel giorno della propria presentazione rispose così a chi gli chiedeva quale qualità della Juventus del suo predecessore gli sarebbe piaciuto vedere nella sua. Quel desiderio di Sarri fotografa bene la cosa che è riuscita meglio ad Allegri in questa prima stagione della sua seconda era bianconera - ricostruire la capacità di soffrire - e anche quella che invece non gli è riuscita - ricostruire la capacità di tritare la partita. Anche, anzi, soprattutto per la mancanza di uomini in grado di farlo, perso Cristiano Ronaldo all’ultimo giorno di mercato e ottenuto Dusan Vlahovic a gennaio, dopo aver nel fratempo perso Federico Chiesa. Ma non solo per quello.

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