La sorella di Chiellini: "Mio fratello Giorgio un medico mancato"

Silvia racconta: "Non è ancora pronto a smettere, ha bisogno dell’adrenalina e di continuare a coltivare la sua passione"
La sorella di Chiellini: "Mio fratello Giorgio un medico mancato"

Lunedì sera era in tribuna allo Stadium, ieri il pranzo di famiglia in un noto ristorante in centro. Una due giorni torinese per Silvia Chiellini, venuta ad omaggiare il fratello che ha detto addio alla Juve. «Ma io continuerò a tifare bianconero - sottolinea - è la mia passione più grande fin da piccola».

Silvia, anche lei è una calciatrice, in forza al Crotone, e di ruolo fa il difensore centrale: un marchio di fabbrica?

«Come Giorgio, non possiedo piedi fini, però entrambi compensiamo questa mancanza con altre qualità come grinta e carisma».

Chissa quanti consigli le ha dato suo fratello...

«Mi ha sempre detto che la cosa principale è il rispetto dell’avversario e dell’arbitro, poi di dare tutto in campo. Si è sempre raccomandato di giocare pulito, perché siamo giocatori semplici, e di lasciare agli altri lo spunto».

Pesa portare il cognome Chiellini?

«All’inizio era un peso perché a 16-17 anni, quando ho deciso di fare la calciatrice, era difficile gestire la pressione. Poi ammetto che mi ha aperto anche delle porte... Però io non publicizzavo il fatto di essere sorella di Giorgio: quando ho giocato in Spagna sono venuti a saperlo un anno dopo».

È stato Giorgio a trasmetterle la passione per il calcio?

«Non solo Giorgio, tutti e tre i miei fratelli. E pure il mio babbo, giocavano a calcio e io li guardavo. Consideri che tra me e Giorgio ci sono 13 anni di differenza. Abbiamo vissuto insieme poco tempo prima che lui andasse alla Fiorentina e poi a Torino».

Ci racconti un aneddoto di quando era piccola...

«Amavo stare in braccio a lui, volevo solo Giorgio, così a mio fratello Giulio toccava stare in braccio a Claudio».

Chi tra Giorgio e Claudio, in quanto fratelli maggiori, era il più protettivo?

«Il più protettivo Claudio».

E il più giocherellone?

«Giorgio, e lo rivedo adesso con le sue figlie. Appena ha un po’ di tempo lo dedica a giocare con loro proprio come faceva con me. Poi, quando sono cresciuta, ci sfidavamo alla play».

Anche lei è laureata: una famiglia dedita a calcio e studio.

«I nostri genitori hanno sempre voluto che studiassimo perché senza laurea è più difficile trovare lavoro. Giorgio da ragazzo voleva fare medicina come il babbo: se non fosse diventato calciatore, avremmo un medico in più. Comunque la laurea se l’è guadagnata: studiava quando era in ritiro, per sua fortuna gli bastava poco per apprendere».

Come ha vissuto questa festa d’addio?

«Dispiace, dopo 17 anni alla Juve, il top in Europa e nel mondo, però i cicli finiscono anche se Giorgio gioca fa ancora la differenza in campo, lo si è visto nella finale di Coppa Italia. Però fisicamente è difficile: se prima bastava un giorno per recuperare, adesso serve una settimana. Sono orgogliosa per quello che ha fatto, non è da tutti essere capitano della Juve e della Nazionale. Giorgio non si è mai montato la testa, è rimasto sempre umile, sempre se stesso».

Che cosa gli invidia e che cosa vi accomuna?

«Gli invidio l’intelligenza, è una testa fine, capisce tutto al volo. Siamo simili nella voglia della vittoria, nell’essere leader».

Lei hai fatto una lunga esperienza all’estero, in Spagna: la consiglierebbe a Giorgio?

«Al 100%, si conosce una cultura diversa e persone nuove. Giorgio non è ancora pronto a smettere, ha bisogno dell’adrenalina e di continuare a coltivare la sua passione».

Dopo 17 anni non ci sarà più un Chiellini alla Juve: e una Chiellini nelle Women?

«No, impossibile, sono di un livello troppo alto per me...».

Anche se non c’è più suo fratello continuerà a tifare Juve...

«Sono una tifosa accanita, secondo tradizione di famiglia, prima ancora che Giorgio indossasse quella maglia. È stato il babbo a tramandarci la passione: non le dico la sua gioia quando ha firmato per la Juve, anche perché sembrava dovesse andare alla Roma...».

Come vede Giorgio in giacca e cravatta dietro una scrivania?

«Bene, spero che un giorno torni alla Juve come dirigente».

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