Pagina 2 | Juve, Allegri si racconta: "De Ligt leader, Locatelli capitan futuro. Conta solo vincere"

Un gioco da tavola, versione calcistica del Monopoli, si alzano le carte e si fanno le domande, Andrea Barzagli nella veste di giornalista, Massimiliano Allegri in quello dell’intervistato, protagonisti dello speciale di Dazn TeoreMax - La versione di Allegri” in esclusiva sulla App da oggi. L’allenatore della Juventus si racconta parlando di passato e futuro, di rimpianti e gioie, di Dna e leadership, di addii e ritorni con il contorno di battute e sorrisi. «L’unico che mi è mancato allenare è Messi - confessa -. Ho allenato anche CR7. Poi Ibrahimovic, Ronaldinho, Robinho, Cassano, Seedorf, Pirlo, Buffon, un fuoriclasse, a parte quando si metteva in porta e non si buttava...».

I campioni

Si parte in salita, con la Juventus che non ha battuto in questa stagione le prime tre in classifica. «No, non ci erano superiori, ma se non abbiamo mai vinto, qualcosa c’è mancato sotto l’aspetto caratteriale o della gestione» dice Allegri. E si entra subito nel vivo della discussione, affrontando la questione della leadership: «O ce l’hai o difficilmente ti viene a una certa età. In questo gruppo, Chiellini è stato importante, come anche te Andrea, come Buffon o Marchisio, parlando degli italiani». Il Conte Max indica chi potrà diventare leader. «Per il futuro ce ne sono due, De Ligt e Locatelli. Manuel è stato un ottimo acquisto, potrà esse re il capitano, ha le caratteristiche tecniche e morali per stare tanti anni alla Juve. Poi, quest’anno è stata una piacevole sorpresa Danilo: quando parla non è mai banale e mette davanti la squadra. Un vero leader è silenzioso, deve parlare poco e deve mettere sempre davanti la squadra. È la squadra che ti riconosce come leader».

E Dusan Vlahovic come rientra in questa classifica, bomber o leader, o entrambi. «Vlahovic può essere un leader a modo suo, ha un carattere leale, vuole sempre vincere, più che con le parole, diventerà un leader carismatico in campo a livello caratteriale. Mi emoziono ancora se penso alle annate trascorse con grandi giocatori che mi hanno insegnato e dato tanto. Con loro ho avuto anche degli scontri, ma il campione non è quello che esce dallo spogliatoio, sconsolato, e chiama il procuratore. È quello che tira fuori l’orgoglio, ti dimostra che è ancora un campione e così in campo vince le partite».

L’Under 23

Dai campioni ai talenti in crescita: Allegri ha un’attenzione particolare verso i giovani visto che quest’anno ne ha fatti debuttare cinque in prima squadra. «L’Under 23 è un passaggio molto importante per la crescita dei ragazzi, il distacco tra Primavera e prima squadra, soprattutto quando si parla di una grande squadra come la Juventus, è troppo ampio. Sono più pronti ma è un discorso che riguarda anche la prima squadra: quando vengono con noi, hanno un livello più alto e quindi riescono a tenere i ritmi fisici e tecnici, quindi anche l’allenamento della prima squadra non si abbassa di livello. Miretti ha fatto 4 partite, buone, è stato molto bravo. La sua qualità è l’affidabilità». I due anni di stop «mi sono serviti, mi sono riavvicinato alla famiglia, a casa, agli amici. Ho apprezzato alcune cose che quando siamo nella “centrifuga” diventa difficile. Ora però avevo bisogno di rientrare». Allegri si lascia così andare a pensieri filosofici su gioco, vittorie e obiettivi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

«Chi vince non potrà mai giocare male. Però anche chi gioca bene, perde e viene criticato perché non arriva il risultato. Quando sei in campo non c’è un metodo unico per vincere: bisogna avere giocatori molto bravi, metterli nelle giuste condizioni e dargli un’idea. La differenza è che quando alleni una grande squadra, l’obiettivo è arrivare a vincere. Tutti vogliamo giocare bene, ma è una parola astratta perché alla fine ci si ricorda della rovesciata fatta da Ronaldo qui a Torino, non di com’è venuta fuori l’azione. Poi dipende dalle caratteristiche del giocatore, ma soprattutto dal Dna della società, altro elemento che non puoi cambiare». E in fatto di Dna Allegri ha potuto confrontarsi con due top club come Milan e Juventus.

«Quando sei in una grande squadra devi vincere. Quindi un metodo lo devi trovare e tutti gli anni non è uguale. Milan e Juventus hanno mentalità diverse. La Juventus ha un Dna ben preciso, dove ogni giorno devi lavorare duro. Oggi è conosciuta tantissimo anche in Europa, tutti parlano del fatto che ha perso 7 finali, ma ne ha giocate 9. Nessuno hai mai parlato del gioco del Real Madrid, ma dei campioni del Real, e tutti parlano del gioco del Barcellona, che ha iniziato a vincere quando sono arrivati Messi, Iniesta, Xavi, Busquets e tutti gli altri, con Guardiola che ha fatto un lavoro straordinario. In Italia andiamo a “scimmiottare” gli altri, invece di lavorare su quelle che sono le nostre qualità. Si rincorre il Barcellona, il Bayern Monaco, il Psg, ma quando rincorri sei sempre dietro».

Le finali perse

Il passato riaffiora nei rimpianti. «Rigiocherei le due finali di Champions. A Cardiff ci siamo arrivati un po’ in discesa perché avevamo fatto tutto in quattro mesi, eravamo favoriti, non considerando che il Real Madrid arrivava in ascesa. Nel secondo tempo, quando hanno capito che noi eravamo “morti”, con l’infortunio di Pjanic per esempio, non c’è stato scampo. Noi abbiamo pagato, loro erano veramente forti. E come dice Messina, allenatore di basket, “le grandi sfide, si vincono con le grandi difese”, quando giochi una finale dove le squadre hanno entrambe le qualità, chi difende meglio vince». Il passato riaffiora anche nelle scelte, quando il tecnico ha rifiutato il Real: «La Juventus era una sfida, insieme alla società e ai tifosi, insieme a tutti, volevo vincere in Italia e fare bene in Europa».

Fa ormai parte del passato pure Paulo Dybala. «Deve tornare a essere se stesso, c’è stato un momento in cui si è fatto trascinare dal fatto che era il nuovo Messi. Un giocatore non può emulare o pensare di essere come un altro. Ha ancora tanto da dare perché ha qualità tecniche straordinarie, gioca in modo divino». Allegri però evita di rispondere su come deciderà di sostituirlo, anche se un abbozzo su come giocherà la Juventus targata 2022-23 lo dà: «Potremmo anche vedere una Juve con due esterni». E chissà che in squadra non ci sia spazio per Pogba. «Non tornerà perché lui ha paura di sfidarmi... - sorride Allegri -. Prima ha perso con i piedi, poi con le mani, quindi è andato via. Il vero motivo per cui se n’è andato è questo e difficilmente ora torna».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

«Chi vince non potrà mai giocare male. Però anche chi gioca bene, perde e viene criticato perché non arriva il risultato. Quando sei in campo non c’è un metodo unico per vincere: bisogna avere giocatori molto bravi, metterli nelle giuste condizioni e dargli un’idea. La differenza è che quando alleni una grande squadra, l’obiettivo è arrivare a vincere. Tutti vogliamo giocare bene, ma è una parola astratta perché alla fine ci si ricorda della rovesciata fatta da Ronaldo qui a Torino, non di com’è venuta fuori l’azione. Poi dipende dalle caratteristiche del giocatore, ma soprattutto dal Dna della società, altro elemento che non puoi cambiare». E in fatto di Dna Allegri ha potuto confrontarsi con due top club come Milan e Juventus.

«Quando sei in una grande squadra devi vincere. Quindi un metodo lo devi trovare e tutti gli anni non è uguale. Milan e Juventus hanno mentalità diverse. La Juventus ha un Dna ben preciso, dove ogni giorno devi lavorare duro. Oggi è conosciuta tantissimo anche in Europa, tutti parlano del fatto che ha perso 7 finali, ma ne ha giocate 9. Nessuno hai mai parlato del gioco del Real Madrid, ma dei campioni del Real, e tutti parlano del gioco del Barcellona, che ha iniziato a vincere quando sono arrivati Messi, Iniesta, Xavi, Busquets e tutti gli altri, con Guardiola che ha fatto un lavoro straordinario. In Italia andiamo a “scimmiottare” gli altri, invece di lavorare su quelle che sono le nostre qualità. Si rincorre il Barcellona, il Bayern Monaco, il Psg, ma quando rincorri sei sempre dietro».

Le finali perse

Il passato riaffiora nei rimpianti. «Rigiocherei le due finali di Champions. A Cardiff ci siamo arrivati un po’ in discesa perché avevamo fatto tutto in quattro mesi, eravamo favoriti, non considerando che il Real Madrid arrivava in ascesa. Nel secondo tempo, quando hanno capito che noi eravamo “morti”, con l’infortunio di Pjanic per esempio, non c’è stato scampo. Noi abbiamo pagato, loro erano veramente forti. E come dice Messina, allenatore di basket, “le grandi sfide, si vincono con le grandi difese”, quando giochi una finale dove le squadre hanno entrambe le qualità, chi difende meglio vince». Il passato riaffiora anche nelle scelte, quando il tecnico ha rifiutato il Real: «La Juventus era una sfida, insieme alla società e ai tifosi, insieme a tutti, volevo vincere in Italia e fare bene in Europa».

Fa ormai parte del passato pure Paulo Dybala. «Deve tornare a essere se stesso, c’è stato un momento in cui si è fatto trascinare dal fatto che era il nuovo Messi. Un giocatore non può emulare o pensare di essere come un altro. Ha ancora tanto da dare perché ha qualità tecniche straordinarie, gioca in modo divino». Allegri però evita di rispondere su come deciderà di sostituirlo, anche se un abbozzo su come giocherà la Juventus targata 2022-23 lo dà: «Potremmo anche vedere una Juve con due esterni». E chissà che in squadra non ci sia spazio per Pogba. «Non tornerà perché lui ha paura di sfidarmi... - sorride Allegri -. Prima ha perso con i piedi, poi con le mani, quindi è andato via. Il vero motivo per cui se n’è andato è questo e difficilmente ora torna».

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Loading...